A leggere oggi, quelle battute ci sembrano tratte dal film inedito: “Coccodrillum”. Invece è tutto vero. Sono passati due anni dall’applicazione della riforma strutturale Monti-Fornero, e fin dalle prime settimane, per decine milioni di italiani, sono iniziati i veri “sospiri, pianti ed alti guai” (Inf. III,22) in vista del traguardo pensionistico. La mezzanotte del 31/12/2011 resterà una data discriminante: c’è chi ha ottenuto un immediato pensionamento e chi si è visto allungato il periodo lavorativo obbligatorio di altri 4-6 anni: perché – la classe 1952 – non raggiungeva “Quota 96”.
Ieri, il traballante governo Letta ha firmato un decreto con obiettivi di “razionalizzazione” e un Ddl sull’occupazione nelle amministrazioni pubbliche. Ma le misure per “Q.96”, esodati e per i prepensionamenti statali continuano, inesorabilmente, a farsi attendere. Per il momento solo rinvii che contribuiscono a frustrare ulteriormente i milioni di cittadini italiani in attesa di qualche provvedimento che risulti migliorativo della propria condizione. Niente riforma prima di settembre, niente riforma a settembre, forse a ottobre. E la Fornero che fa dichiarazioni contro i posti in PA riservati ai precari, in quanto non meritocratici. Modifiche possibili per lavoratori precoci, coloro che svolgono lavori usuranti e donne, ma nessuno stravolgimento dell’attuale sistema pensionistico in vigore.
Questa la linea di lavoro che il ministro del Lavoro Enrico Giovannini si propone di percorrere. Al momento in Parlamento ci sono tre proposte di legge per la modifica della pensione: quelle di Damiano, della Polverini e di Cazzola. Ma il ministro del Lavoro Giovannini studia soprattutto quella di Cesare Damiano del Pd, che prevede la possibilità di andare in pensione a 62 anni, con 35 anni di contributi, e un sistema di penalizzazioni graduali in base agli anni di anticipo rispetto alla soglia dei 66 anni in cui si decide di lasciare il lavoro. Più che sui problemi giudiziari di Berlusconi o sull’IMU, il Governo Letta potrebbe saltare sul tema delle pensioni, così come in passato ha spesso innescato crisi di governo.
Sappiamo bene che per non morire disperati, il proverbio ci invita a non vivere di speranze. La dura lex ha inquadrato i lavoratori della conoscenza nell’art. 24 del Dl “Salva Italia” n. 201 del 6/12/2011, un vero “Coccodrillum”, che fa da pendant col “Porcellum” elettorale. E’ quindi l’età anagrafica che regola la possibilità di andare in pensione:
1. Nel triennio dal 2013 al 2015, i lavoratori del pubblico dovranno avere almeno 66 anni e tre mesi di età con un requisito contributivo minimo di 20 anni e per quelli assunti dal 1° gennaio 1996 (per i quali la pensione è calcolata con il sistema contributivo) l’importo della pensione deve essere pari almeno a 1,5 volte l’assegno sociale, rivalutato in base all’andamento del PIL.
2. Indipendentemente dall’età, nel 2013, i requisiti per la pensione “anticipata” prevedono 63 anni e 3 mesi, ma con 42 anni e 5 mesi di attività contributiva per i maschi, mentre per le donne occorrono 41 anni e 5 mesi di contributi. In tal modo la “Quota” da 96 schizza a 104-105.
3. Nel 2014 e 2015, poi, è necessario maturare un sesto mese di contributi oltre i 42 e/o 41 anni.
4. E’ confermata, infine, la possibilità per le sole donne, fino al 2015, di conseguire la pensione a 57 anni di età (58 le lavoratrici autonome) con 35 anni di contribuzione, purché scelgano il meno vantaggioso calcolo contributivo.
Insomma, se proprio dobbiamo comprarci un calendario per annotare la lontana meta pensionistica che sia pieno di belle foto di tanti bei coccodrilli.
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