Nel leggere di una vertiginosa crescita di gesti estremi fra giovanissimi studenti non si può far finta di niente e, pur rischiando d’essere tacciati come retorici, non si può evitare di dire che gli unici che non si devono interrogare sono proprio gli autori di questi gesti.
L’ultimo in ordine di tempo è quello di un ragazzo di quattordici anni che ha scritto che si sente un fallito per un due. Ma non è l’unico, basta fare una piccola ricerca su google per averne la triste conferma.
Tutti abbiamo avuto quattordici anni e, se non siamo vissuti sulla luna, sappiamo che se un ragazzo di quest’età arriva anche solo a pensare un gesto del genere, c’è qualcosa che non va in una società sempre più distratta e assente. Una società sempre più frettolosa e sempre meno disponibile all’ascolto, quello vero, quello che si fa guardando negli occhi e non sbirciando nel frattempo un cellulare.
Una società che preferisce il merito per i più forti, all’abbraccio per i più fragili. Nei giovani, soprattutto in loro, c’è un senso di inadeguatezza sul quale non si può continuare a tacere. Da poco ne abbiamo avuto riscontro anche in un giovane cantante che, con un grido d’aiuto, l’ha espressa pubblicamente dicendoci, sussurrandocelo, che quelli che apparentemente sono i più forti sono spesso anche i più fragili.
Un’inadeguatezza che chiunque faccia il genitore e l’educatore con assennatezza tocca con mano ogni giorno. Fragilità dichiarate con gesti estremi o con gesti di rabbia. Ma anche fragilità non dichiarate, che si possono leggere negli sguardi, nei movimenti, a volte anche nei sorrisi incrinati in una smorfia di tristezza. E’ su questi sguardi e su questa finta felicità che oggi non solo la scuola, ma la società intera, deve interrogarsi seriamente.
Augusto Secchi
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