In Germania la riforma ortografica fu avviata negli anni settanta e suscitò qualche polemica, di questi giorni la notizia che anche la douce France riparte con la controversa riforma dell’ortografia.
Se i puristi insorgono, temendo lo stravolgimento della lingua di Racine e Voltaire, altri esultano per la (possibile) eliminazione di alcuni pesanti ostacoli alla corretta scrittura in francese, come ad esempio lo scomodissimo accento circonflesso.
Approvata nel 1990 dall’Académie Francaise ma mai entrata in vigore, la “reforme de l’orthographe” dovrebbe uscire dal limbo per la prossima apertura dell’anno scolastico sui manuali di scuola. Scrivere in francese potrebbe diventare più agevole e scorrevole, ma le polemiche, i dubbi e le esitazioni non mancano.
Gli innovatori tuttavia minimizzano, perché la lingua cambia, l’uso si evolve, e anche le regole di scrittura vanno adeguate ai tempi.
Ma in sostanza, cosa cambia davvero? La novità più significativa riguarda appunto l’accento circonflesso. Spesso vestigia di una “s” caduta con l’uso, l’accento a forma di “cappello” non sarà più obbligatorio sulle vocali “I” e “u” tranne in caso di terminazioni verbali – “quil fût” – , di nomi proprio o quando l’accento serve a distinguere una parola dall’altra (“mûr” – maturo – e “mur” muro).
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Altra novità l’abolizione del francesissimo trattino. Parole come mille-pattes, porte-monnaie o week-end potranno clamorosamente scriversi tutte attaccate. Meno evidenti, ma non meno pervasive, le modifiche su tutta una serie di accenti, col passaggio dal grave all’acuto, o viceversa, e nella costruzione del participio passato.
Secondo la “riforma” voluta, pensata e architettata dall’Académie sono circa 2400 le parole a subire un più o meno radicale lifting, in sostanza un 4% di tutto il lessico della lingua francese, mentre si applica per adesso esclusivamente ai manuali scolastici.
Secondo gli esperti “è importante continuare ad apportare all’ortografia modifiche coerenti e legate all’uso effettivo delle parole. Non è una novità: lo si è sempre fatto dal XVII secolo in poi e continuano a farlo tutti i Paesi europei”. Un’argomentazione, questa, che convince sino a un certo punto i puristi, i nostalgici e i conservatori. Il timore è quello di un impoverimento e di un livellamento verso il lasso della lingua.
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