Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, intervenendo ad un evento sul digitale, ha dichiarato: “Stiamo disperdendo talenti ma anche risorse, basti pensare che la fuga di cervelli all’estero che sta conoscendo l’Italia ci fa perdere circa 14 miliardi all’anno poco meno dell’1% del Pil”.
“Non si passa al fianco della trasformazione digitale: o ne siamo protagonisti o la subiamo. E se la subiamo il rischio principale, a lungo termine, è politico, non economico”.
Ogni rivoluzione economica ha avuto la sua “materia prima”, spiega il ministro, e oggi “l’oro, il carbone, il petrolio sono stati sostituiti dai dati. Dalla massa di informazione creata dipende la capacità di generare innovazione, nuovi servizi, nuove tecnologie”.
Differentemente dal passato “la produzione di questa materia prima è indipendente dalla possibilità di utilizzarla, questo nuovo petrolio lo produciamo anche in Italia ma ciò che importa è chi la possiede realmente e riesce a sfruttarlo”.
Da qui il rischio politico e la domanda per Tria è: “come mantenere una forma di sovranità su una risorsa così fluida? Come garantire che come sistema Paese si possa essere non solo utenti ma anche creatori digitali?”.
In Ue se ne sta discutendo, riconosce Tria ma “come continente europeo stiamo accumulando un ritardo rispetto ad altri player globali, sia per carenza di infrastrutture digitali sia per la difficoltà delle nostre imprese d’innovazione, delle nostre start up, di trovare un contesto favorevole a crescere e diventare”.
Ecco perché il ministro dice di “accogliere molto favorevolmente” l’iniziativa di Confindustria Digitale per un Piano strategico. A riguardo sottolinea: “sono convinto che si vinca la sfida del digitale investendo sulle persone”, occorre “cambiare il nostro modo di concepire le competenze professionali, visto che il 65% dei bambini che iniziano la scuola primaria farà quassi sicuramente un lavoro che al momento ancora non esiste. Le nuove tecnologie chiederanno nuove professioni, non solo occorre ripensare il ruolo dell’informatica nella formazione obbligatorie, ma bisogna essere pronti a investire in una formazione linguistica più diversificata”.
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