Ho ritenuto opportuno scrivere queste brevi riflessioni all’indomani della firma del contratto scuola, che ancora una volta non valorizza i dsga, offende il personale ata ed amareggia tutto il personale della scuola.
Purtroppo devo dedurre e constatare, con rammarico, la profonda crisi della rappresentanza e della rappresentatività, sia a livello politico che sindacale, con evidente incapacità di intercettare le istanze della base, nella componente sociale e tecnico-produttiva, i contratti collettivi sono delegittimati, sottoscritti in funzione di deleghe vuote, prive di verifiche a posteriori, di carattere referendario. La contrattazione non è capace di collocare il rapporto di lavoro all’interno dell’attuale architettura scolastica, fortemente destrutturata e poco funzionale alla realizzazione dell’interesse pubblico dell’istruzione. In questo contesto proporre soluzioni non è facile, altrettanto difficoltoso è trovare condivisioni. E’ dispendioso e dispersivo cercare una ratio nel mare magnum normativo dell’Istruzione, caratterizzata da una stratificazione normativa senza coordinamento ed armonizzazione. Le aree di intervento sono state sulla Governance, Cicli/ Programmi/Curricoli, Funzioni istituzionali e Contratti Collettivi.
La prima area, a parte la disciplina sulla dirigenza scolastica, è ancora disciplinata dai decreti delegati del 1974, obsoleti ed antistorici. La seconda area è stata oggetto di innumerevoli interventi che, per un verso (positivo), hanno risposto alle nuove istanze di sapere provenienti dalla società’, per un altro (negativo), sono stati il frutto della costante e distorta consapevolezza di una scuola ideologizzata. La terza area di interventi è il risultato di un nuovo rapporto tra stato ed autonomie (territoriali ed istituzionali), con l’emersione del livello regionale del coordinamento, il trasferimento di funzioni alle istituzioni scolastiche e la privatizzazione del rapporto di lavoro, con conseguente affermarsi della contrattazione e l’istituzione delle rsu di scuola. Ecco questo è in estrema sintesi il quadro da cui partire, in particolare ogni area ha aspetti positivi (forse da salvare) ma altrettante criticità (almeno da riformare). Inutile dire della necessità di riformare gli organi dell’istituzione scolastica, collegiali e non, propositivi, di valutazione e di controllo. All’interno di un sistema così complesso, non è facile discutere del Dirigente scolastico e del Direttore dei servizi generali ed amministrativi, per trovare una complessiva collocazione ottimale, anche in funzione dei rapporti istituzionali e territoriali.
Tralasciando materie costituzionali, come le competenze delle stato e delle regioni in materia di istruzione ed i rapporti tra scuola ed enti territoriali, possiamo certamente considerare la scuola ente autonomo nell’ordinamento giuridico. Il DPR 275/99 era stato sicuramente espansivo ancorché carente di attribuzioni, infatti si potevano riconoscere poteri amministrativi ben più estesi, come un’autonomia statutaria e regolamentare. La genesi della figura dirigenziale è nella legge, quella del direttore è nel contratto collettivo di categoria. Esse sono il frutto di una lenta, ma costante, evoluzione che ha accompagnato la crescente complessità delle istituzioni scolastiche, da mere articolazioni periferiche dell’amministrazione, prive di autonomia, a enti soggettivizzati responsabili in via diretta ed esclusiva dell’erogazione del servizio di educazione-istruzione-formazione.
Il risultato di questo processo non ha apportato benefici alle Istituzioni Scolastiche, i motivi sono evidenti e sotto gli occhi di tutti: una figura dirigenziale troppo appiattita su competenze amministrative e contabili che minano la stessa caratterizzazione culturale delle istituzioni scolastiche, dall’altro il profilo del DSGA troppo ai margini delle proprie reali competenze, con privazione di autonomia e mera partecipazione decisionale sui procedimenti e sul personale. L’unità di conduzione affidata al DS ed il dato normativo attuale non prefigurano una diarchia nella conduzione della scuola, per il difficile intreccio delle competenze distribuite in modo non sempre chiaro tra i due. L’impoverimento della docenza ha trovato un riscontro indiretto nell’istituzione di una dirigenza scolastica di tipo amministrativo più che di leadership educativa, quasi in polemica con la funzione docente e non naturale sviluppo di una carriera, per cui il dirigente appartiene per profilo, per trattamento economico, per modalità di reclutamento e per funzioni più alla carriera burocratica-amministrativa e meno a quella di tipo educativo-didattica. Evidenti le conseguenze, scuole prive di una vera e propria leadership educativo-didattica, un vuoto non colmato ne’ dalle funzioni strumentali ne’ dai collaboratori del dirigente.
Ambedue le soluzioni sono un surrogato della carriera docente, la quale abbisognerebbe di essere fondata su standard, valutazione, professionalità, specializzazione, responsabilità e sviluppo. Occorre evidenziare, sottolineare ed implementare la funzione docente, con il riconoscimento di una progressione verticale, in attuazione della costituzione e della legge. Identificazione e fisionomia, contenuti e limiti della libertà di insegnamento, reclutamento, carriera, relazioni con l’istituzione scolastica, con gli organi collegiali, valutazione, controllo, merito e soprattutto un percorso chiaro e convergente allo status giuridico di dirigenza didattica. Questo perché la funzione docente rimane centrale in qualsiasi idea di scuola, bisogna partire necessariamente da essa per prendere spunto e sviluppare un sistema, dove si recuperi istituzionalmente una guida didattica, sia essa dirigenza, coordinamento o direzione. L’attuale organizzazione delle istituzioni scolastiche è fortemente carente sia dal lato didattico che amministrativo, per non parlare della disciplina degli organi collegiali.
E’ assolutamente necessario delimitare e definire i due percorsi, uno didattico l’altro amministrativo, trovare un modo (quello più logico è un organo collegiale di poche persone, snello e rapido nelle decisioni) dove le due aree si incontrano e si parlano, elaborando soluzioni e sintesi: da un lato il profilo didattico (con tutto quello che include) dall’altro il profilo amministrativo (contabile, fiscale, negoziale, privacy, sicurezza, infortuni ecc). Chi vive la scuola si rende conto che attualmente il dirigente scolastico dedica il 70% del proprio impegno a faccende amministrative, il 20% agli impegni collegiali ed il 10% alla didattica.
Risulta inutile elencare gli infiniti adempimenti amministrativi che vedono responsabile il dirigente scolastico, che abbracciano anche materie completamente fuori dalla sua portata o capacità di valutazione: ricostruzioni di carriera, adempimenti fiscali, adempimenti previdenziali, statistiche, bilanci, variazioni, acquisti, collaudi, pagamenti, contratti, convenzioni, partenariati, normativa su trasparenza, privacy, anticorruzione, sicurezza luoghi di lavoro, istanze di accesso, procedimenti disciplinari, contenzioso del lavoro, infortuni, e così via, alla faccia della tradizionale formazione umanistica o tecnica dei dirigenti scolastici. Un armamentario che un “manager pubblico” non può ignorare, per una corretta gestione della struttura di cui è al vertice, dimenticando però che stiamo parlando di istituzioni scolastiche, attrezzate per categorie culturali diverse. Nella gestione del personale ATA, le contraddizioni toccano l’assurdo più assoluto.
Il dirigente gestisce le risorse umane, il direttore è posto a capo del personale ATA, il rapporto tra i due è di direttive di massima, in caso di disaccordo chi prevarrebbe sull’eventuale utilizzazione di un assistente amministrativo o di un collaboratore scolastico? Potrei continuare all’infinito ma sarebbe tempo sprecato, almeno nel breve non vedo soluzioni razionali e meritevoli di attenzioni. Ho l’impressione che ormai la confusione sia diventata sistema, endemica, parte delle istituzioni ed in particolare delle scuola. Ho l’impressione che la chiarezza, l’organizzazione, la logica, la sintesi, un dirigente didattico, un dirigente amministrativo, dei docenti con carriera e gratificati, siano da ostacolare e combattere.
Eppure sarebbe molto facile, ci sono due vie, una più radicale, l’altra da trovare all’interno del sistema giuridico vigente. Con la prima si possono disciplinare ex novo gli organi dell’istituto, riscrivere i profili del dirigente e del direttore, istituire un presidente dell’istituto, un consiglio di amministrazione, un organo assembleare dei docenti (collegio, consiglio accademico), suddiviso in dipartimenti disciplinari. Sarà utopia ma la scuola ha bisogno di riformarsi, non è attraverso un nuovo concorso da dirigente o l’ennesima infornata di docenti ed ata a cambiarne le sorti, men che meno la pessima legge 107/2015, nella quale è stato riportato di tutto di più: sanatorie, assunzioni, formazione, merito, valutazione ecc., in un modo a dir poco scriteriato.
Una legge definita buona scuola che non spende una parola sul personale ata, un insieme di dichiarazioni di intenti e di obiettivi che avrebbero trovato facilmente posto in una semplice circolare, ma i promotori della buona scuola hanno voluto osare, hanno immaginato che l’incremento dell’autonomia passasse per un ritocco ai finanziamenti e dal portare il pof da annuale a triennale. Hanno pensato che la scuola potesse migliorare se stessa attraverso l’istituzione dell’organico dell’autonomia, gli insegnamenti opzionali, l’alternanza scuola-lavoro, l’ampliamento dei poteri del dirigente, il ritocco al comitato di valutazione, il piano straordinario delle assunzioni, la carta elettronica, la valorizzazione del merito e così via. Per non parlare della enfatica narrazione della scuola di qualità’ con la chiamata diretta che ha generato un tale caos che di fatto è quasi scomparsa, gli ambiti sono diventati scatoloni vuoti e le assunzioni si decidono sempre con gli stessi criteri.
I risultati di questo bazar pseudo-normativo si vede nella concreta applicazione, un marasma generale tra ambiti, cattedre, potenziamento, collaborazioni, reti e formazione. Vi assicuro nessun beneficio ne’ per gli alunni ne’ per il personale, a parte qualche fortunato docente che entra a scuola senza essersi mai seduto in cattedra e qualche piccolissimo contentino economico, in bonus e premialità, sulla base di valutazioni che prescindono dal vero impegno del docente in classe, dalle sue qualità soggettive, dalle capacità didattiche, culturali ed educative. Che dire poi dei tanti articoli che si sono prefissi obiettivi ambiziosi (al fine…), basti pensare all’art. 143: incrementare l’autonomia contabile delle istituzioni scolastiche e di semplificazione degli adempimenti amministrativi, che alla prova dei fatti è risultato un autentico fallimento, basta una sommaria lettura della bozza del regolamento di contabilità per capire che nulla è cambiato, anzi per certi aspetti si è fatto anche peggio (rapporti tra ds e dsga). La scuola ha bisogno di altro per favorire lo sviluppo spontaneo della personalità di ogni alunno e determinare il suo successo formativo. E’ necessario un corpo docente preparato e motivato, che ha modo di condividere conoscenze e trasmettere saperi, un dirigente didattico espressione della docenza, consapevole coordinatore degli interventi educativi-didattici e culturali.
Nell’attuale configurazione giuridica, anche il migliore dei dirigenti potrebbe al massimo determinare un eccellente servizio scolastico, in termini di organizzazione generale, senza influenzare minimamente la sfera didattica. La scuola ha bisogno di altro, di interventi incisivi ed organici, nella consapevolezza che essa esprime un sistema non un vertice. I punti degli interventi settoriali sono stati elencati sopra, capisco che al momento non sarà possibile aprire nemmeno una discussione, ma spero almeno che si prendi in considerazione la necessità di fare chiarezza tra i ruoli del dirigente e del direttore.
Basta fare un giretto nel mare magnum normativo, non solo scolastico, per trovare modelli funzionanti, dove le competenze sono ben delimitate ma soprattutto espressione delle proprie conoscenze e bagagli culturali. Il dsga non può’ essere di “fatto” un dirigente e di diritto un funzionario, di certo indispensabile all’istituzione scolastica ma privo di poteri dispositivi; non può essere gravato da una miriade di compiti e responsabilità, con una retribuzione sempre più vicina alle aree a/b, grazie alle posizioni economiche e al sostegno al reddito (80 euro); non può essere l’unica figura non dirigenziale a cui è impedito il part-time; non può essere l’unico funzionario non retribuito se viene nominato su due scuole, con la responsabilità della direzione di strutture complesse, non può avere un aumento annuo di €. 78,00 per indennità di direzione, pari ad euro 6,50 mensili, tutto questo offende ed amareggia tutta la categoria, che finalmente inizia una, seppur, flebile contestazione. Capisco le continue lettere di denuncia di tanti colleghi “disperati” che non ottengono risposte dall’amministrazione, come dalle organizzazioni sindacali.
E’ assolutamente necessario recuperare in capo al dirigente scolastico le competenze didattiche-educative, nell’attuale configurazione della figura al dirigente vengono richieste conoscenze che molto spesso sono antitetiche rispetto a chi per anni ha fatto il docente, competenze giuridiche-economiche che sono presupposti indispensabili per l’esercizio di attività manageriali. E’ altrettanto necessario attribuire al dsga tutti i poteri e le prerogative per la gestione del personale ata e per la gestione amministrativa, contabile e fiscale. Nell’attuale configurazione manca un collegamento tra competenze, poteri e responsabilità’. Il percorso di parificazione del dirigente scolastico alla dirigenza amministrativa pubblica produce un ulteriore incremento del processo di burocratizzazione del ruolo, con conseguente sovrapposizione di poteri e funzioni.
Questo determina una chiara equiparazione dei ruoli dirigenziali, tanto che qualunque dirigente pubblico, in possesso di conoscenze e dinamiche amministrative, potrebbe essere idoneo a coordinare un’istituzione scolastica. Pensare ad un dirigente scolastico che si aggiorna sul codice degli appalti, sulla trasparenza, sulla sicurezza mi rattrista, tanto più se prevale sugli interventi didattici, formativi ed educativi, come capita di consueto. Pensare ad un dirigente scolastico che si sposta annualmente da una scuola all’altra, in piena contrapposizione con il carattere triennale del contratto sottoscritto e del piano dell’offerta formativa, parimenti triennale, significa derogare palesemente ad un paradigma giuridico che fa della stabilità, continuità, un elemento determinante per il raggiungimento dei risultati e la valutazione dell’azione amministrativa e didattica.
Questo è un piccolissimo contributo dal quale prendere spunto per scrivere intere pagine, relativamente alle distorsioni insite nel sistema scuola ma ho l’impressione che nessuno ascolti, forse solo un miracolo potrà cambiare le sorti della scuola e degli operatori, oramai frustrati, demotivati e sottopagati. Negli anni novanta si è pensato che la soluzione potesse essere un dirigente onnisciente, onnipotente, onnipresente, trascurando le peculiarità del sistema scuola ed immaginando, anche con la legge sulla buona scuola, una conduzione verticistica ed autoritaria, caricata da responsabilità di scelta e di risultati, all’interno di una legislazione contraddittoria ed inadeguata. Alla prova dei fatti i risultati sono palesemente negativi, infatti non è certo attraverso l’accentuazione dei poteri che migliorano i processi e sale la qualità.
Qualunque dirigente di buon senso, e sono tantissimi, firmerebbero per liberarsi di incombenze improprie e snaturate, per sentirsi ancora legati alla docenza, per apportare a tempo pieno valore aggiunto alla integrità costituzionale della libertà di insegnamento, attraverso continui momenti di confronti culturali, di ricerca e di sperimentazione. Bisognava creare attorno ad un ipotetico cambiamento una condivisione, per determinare ambienti coesi e motivati, non divisivi e conflittuali. Bisognava evitare che si affermasse una sterile competizione tra docenti, nocumento e deterrente per un’elevazione culturale della categoria, al servizio della comunità scolastica e della didattica. Per dimostrare che la mia non è un’azione corporativa, a difesa della categoria dei dsga, ma un vero e proprio appello, tenterò di essere ancora più evolutivo.
La frammentazione delle scuole, dovuto soprattutto al primato dei campanili sul buon funzionamento dei servizi pubblici, ha determinato la presenza sul territorio di innumerevoli edifici con deficit strutturali e di ospitalità. Contemporaneamente siamo stati testimoni di una frammentazione dell’offerta formativa, con la nascita di una pluralità di indirizzi che non migliorano le scelte, ancor meno i risultati. Ecco, è necessario riorganizzare la rete scolastica, intervenire sui cicli e gli indirizzi, coordinare saperi e competenze, approfondire la conoscenza con percorsi convergenti sia dal lato culturale che professionalizzante, senza pretendere un’alternanza scuola-lavoro in modo indifferenziato.
E’ necessario legiferare l’organizzazione di istituti scolastici dove si eserciti concretamente la cultura, con la presenza di un coordinatore didattico, sia esso dirigente o altro, soprattutto libero da incombenze amministrative, le quali potrebbero essere esercitate da uffici dislocati sugli ambiti territoriali, con figure professionali specializzate e competenti. Per fare questo bisogna innanzitutto riformare il sistema di reclutamento di tutto il personale della scuola, dei dirigenti scolastici dove le materie di studio sono prevalentemente amministrative, dei docenti dove è necessario creare un albo regolamentato, dei dsga richiedendo competenze giuridiche-economiche; degli assistenti amministrativi disciplinando un concorso ordinario; infine una vera esternalizzazione dei servizi ausiliari.
Pensare che allo stato odierno il dirigente scolastico affronti materie a lui sconosciute, che il dsga non abbia un’adeguata preparazione giuridica-economica, che i docenti sono reclutati per canali fortemente discutibili, che gli assistenti amministrativi sono assunti ancora con un concorso per titoli, è fortemente anacronistico e dirimente. Si sacrifica la qualità della scuola e delle professionalità, con l’unico scopo di controllare le retribuzioni e mantenere uno status quo incompatibile con la normativa generale sui principi, le posizioni professionali, le performance.
Insomma, usciamo una volte per sempre dall’inquinamento normativa in cui sono entrate le istituzioni scolastiche e dal contemporaneo disorientamento degli operatori, privi di riferimenti, di retribuzioni, di speranze. Si recuperi la funzione sociale delle istituzioni scolastiche, con la valorizzazione della funzione docente, il recupero della funzione didattica di coordinamento, i pieni poteri e la responsabilità della funzione amministrativa, un reclutamento di qualità del personale ata. Il nuovo contratto umilia la categoria e non risponde a nessuna delle criticità evidenziate. Immaginare che un contentino economico sia stato un successo, significa non conoscere la scuola e non considerare la professionalità e la dignità degli operatori.
Mario Cipriano
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