Le zone d’ombra che intorbidiscono le attività scolastiche sono generate dall’assenza di un lessico univoco e condiviso.
La parola “competenza” sarà il terreno su cui si svilupperà la dimostrazione.
Si tratta del concetto portante la gestione delle scuole: rappresenta il traguardo dei percorsi formativi scolastici.
L’ambiguità di cui si tratta deriva dal duplice punto di vista assunto: le competenze possono essere considerate entità aventi un proprio, autonomo significato o, in alternativa, possono essere analizzate per identificarne le componenti, l’asse portante delle strategie educative.
La contrapposizione conoscenza/competenza, che aderisce alla prima ipotesi e che ricorre negli scritti che appaiono in rete sostenuti da una miriade di “mi piace”, è un’esplicita difesa sia della didattica tradizionale, sia della parcellizzazione degli insegnamenti.
Le competenze sono viste come corpi estranei, l’oggetto di percorsi addestrativi.
A tale visione si contrappone quella analitica.
Come la mescolanza dell’ossigeno con l’idrogeno produce l’acqua, così l’interazione delle capacità/abilità con le conoscenze rende visibile il comportamento di chi sa affrontare e risolvere specifici problemi (competenza).
L’adesione alla prima o alla seconda congettura incide profondamente sull’organizzazione e sulla natura degli itinerari formativi e, in particolare, sul coordinamento didattico e sulla collegialità.
A titolo esemplificativo si consideri il conflitto che emerge nelle discussioni sull’insegnamento delle cosiddette lingue morte, latino e greco. Alla loro estraneità dalla società moderna si contrappongono lo sviluppo e il potenziamento della capacità di definire problemi, di formulare ipotesi e di capitalizzare gli errori, qualità indispensabili per le attività di ricerca, attività essenziali per dominare la dinamicità e la complessità del mondo contemporaneo.
Enrico Maranzana
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