La vita, la vita di ogni uomo è come un arcobaleno che risplende fiducioso nel cielo. Il 2 aprile ricorre la Giornata Mondiale della consapevolezza sull’autismo e in questo giorno è opportuno riflettere sul supremo valore della vita, sul diritto di ciascuno di essere trattato alla pari con gli altri.
È la parità che non lascia intristire nessuno nella solitudine e fa sì che tante vite possano gustare la gioia del reinserimento nel tessuto sociale.
In questi ultimi anni, la legislazione dei vari Paesi, pur attenta alle persone fragili, non risponde pienamente alle reali esigenze delle persone e delle famiglie che vivono i problemi dell’autismo, di corpi relegati nella periferia della vita.
Ciascuno di noi dovrebbe, consapevolmente, affondare lo sguardo nella segreta levità delle persone autistiche, nel pulviscolo d’oro dei loro occhi dietro cui risplende una soave dolcezza.
Un piccolo progresso è un grande successo. Ma questo progresso è fatalmente limitato dalla pandemia che è più facile registrare la consunzione delle famiglie e degli operatori.
Intensi periodi di cure, di terapia cognitivo comportamentale, senza risparmio di mezzi e personale specializzato, per restare, paradossalmente, esclusi dai processi di comunicazione, gli unici in grado di rispondere a tutte le loro profonde esigenze vitali.
È facile comprendere che, soprattutto in questo difficile periodo, tra la società, il mondo della scuola e la persona affetta da disturbi dello spettro autistico, c’è molta distanza. Ci sono diversi casi in cui oltre alla regressione si può facilmente registrare il crollo dei genitori. Molte famiglie facilmente riscoprono la loro precarietà e debolezza.
Ogni persona, soprattutto se fragile, ha diritto ad avere una propria e adeguata vita relazionale, per realizzare percorsi personali di vita sociale, educativa, emotiva e affettiva, e la scuola è un importante utensile cognitivo per entrare in contatto con differenti reti culturali e attivare radicali trasformazioni.
In questo contesto, diventa quanto mai urgente avviare una riflessione pedagogica molto seria sui danni dei limiti educativi, comunicativi e relazionali imposti dalla pandemia.
Senza nulla togliere all’impegno delle istituzioni, occorre un cambio di mentalità, un cambio di cultura che stimoli lo Stato a compiere tutto il suo dovere, a farsi realmente carico di un processo educativo che determini l’inizio di un processo di riaggregazione sociale delle persone autistiche.
Società, lavoro, scuola ed educazione, sono nessi inscindibili in un sistema che voglia considerare il disagio e la marginalità, non un peso sociale, ma un valore, un fermento sociale e culturale.
Ogni forma di limite o di sofferenza migliora l’esperienza umana e le persone in difficoltà sono un soave mistero, il cuore pulsante di una società attenta ai piccoli, ai deboli, agli indifesi.
Il soggetto autistico ha diritto a spazi nel nostro tempo, nella nostra mente, nelle nostre braccia, nel nostro cuore. Occorre reinventare i contesti e le strutture formative, scrostandole da forme assistenziali, per riportarle alle primitive genuinità del farsi carico. L’assistenzialismo non aiuta e non libera nessuno. Se vogliamo veramente sostenere il pieno valore della vita, di ogni vita, chiamiamoli per nome, guardiamoli negli occhi, ascoltiamo le loro storie, accogliamoli con un cordiale sorriso, accettiamo le diversità senza far riferimento a parametri di pseudo normalità.
Parlando di autismo iniziamo a lavorare per cambiare la qualità della vita, per riscoprire la forza innovativa della comunione, per realizzare strutture educative reticolari che non prevedano un centro di attenzione, ma è il soggetto che impara a costruire il proprio percorso, un percorso in cui non esistono vincoli e la rotta può essere ridefinita istante per istante.
Sono quindi da superare le illusioni di interventi legati a semplici prestazioni sociali, per giungere ad un servizio aperto alla vita in grado di suscitare un coinvolgimento e favorire la motivazione. In altre parole, per conoscere ed esplorare la realtà dell’autismo bisogna uscire dalla nebulosa in cui ciascuno coglie sempre e solo una parte.
Il disagio non conosce confini di età e di classe.
Per affrontare adeguatamente quelle situazioni di emarginazione che norme, procedure e atti amministrativi pubblici non potranno mai risolvere, bisogna riscoprire il valore dell’uomo e creare le condizioni più favorevoli alla difesa della persona.
Da educatore non posso che emozionarmi davanti allo straripante mistero di una vita che, come un arcobaleno nel cielo, deve essere speranza di luce e di rinascita.
Fernando Mazzeo
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