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La Jihad al femminile

Non è la prima e non sarà nemmeno l’ultima. È lunga la storia delle attentatrici suicide.

Da decenni ci sono kamikaze donna. Le prime, riporta Adnkronos commentando il suicidio della kamikaze jihadista a Saint Denis in Francia,  si potrebbero far risalire agli anni ’80. Il 9 aprile del 1985 ad immolarsi fu infatti la 16enne libanese Sana Khyadali che si fece esplodere in prossimità di un convoglio israeliano a Jezzin, nel Sud del Libano, durante la Guerra civile libanese. Un fenomeno che, a partire dagli anni ’90, coinvolse anche il resto del mondo, dalle “vedove nere” cecene alle separatiste curde del Pkk, dalle militanti delle Tigri Tamil nello Sri Lanka alle attentatrici in Palestina e, ora, anche in Europa.

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Dal 2000 ad oggi sono state oltre 45 le ‘vedove nere’ – chiamate così perché nella maggioranza dei casi avevano perso un marito o qualche altro parente nel conflitto con le forze di sicurezza russe – che hanno preso parte alla guerra per l’indipendenza delle ex Repubbliche sovietiche. Tra queste le due donne che si fecero saltare in aria nella metropolitana di Mosca nel marzo 2010, uccidendo 27 persone.

Così come nel 2004, nel commando responsabile del massacro nella scuola di Beslan, nella repubblica russa dell’Ossezia (344 vittime tra cui 186 bambini), vi erano anche due donne. Mentre nel 2002, al teatro della Doubrokva, erano diciannove le kamikaze che indossavano una cintura bomba.

Tra il 2002 e il 2005, le donne hanno partecipato anche a un’ondata di attacchi suicidi lanciati da gruppi militanti palestinesi contro obiettivi israeliani. Al-Qaeda aveva evitato l’uso delle donne come attentatrici suicide nelle sue operazioni, tuttavia, i gruppi affiliati hanno introdotto la cosidetta ‘Jihad al femminile’.

Nel 2005, Abu Musab al-Zarqawi, il terrorista giordano che ha guidato la filiale di al-Qaeda in Iraq, aveva inviato quattro attentatori suicidi, tra cui una donna, contro un hotel di lusso a Amman. Gli attacchi uccisero 60 persone. Una confessione filmata dall’aspirante kamikaze, arrestata dopo non essere riuscita a far esplodere il suo dispositivo, aveva contribuito a far crescere l’avversione nei confronti di al-Qaeda nella regione. Nello stesso anno, una belga sposata con un islamista nato in Algeria – e si trattò del primo caso di una cittadina europea di cui si ebbe notizia – si fece saltare in aria contro un convoglio americano in Iraq. Altrove, come ad esempio in Asia centrale e nel Corno d’Africa, gruppi terroristi affiliati hanno continuato ad utilizzare, anche se con parsimonia, donne kamikaze.

Poco più di due mesi fa, quattro donne kamikaze hanno ucciso decine di persone nelle moschee nel nord-est della Nigeria. Erano le ultime di un’ondata di attentatrici inviate contro obiettivi civili nella zona.

Il vantaggio di utilizzare donne kamikaze per un’organizzazione può essere semplicemente tattico, perché possono evitare più facilmente di destare sospetti, o strategico. Lo scopo dei jihadisti è terrorizzare, scioccare e attirare più attenzione possibile e il più a lungo possibile: utilizzare le donne è un modo molto efficace per raggiungere tutti questi obiettivi.

Pasquale Almirante

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