Ma su questi punti la recente giurisprudenza costituzionale si è espressa e ha legittimato la difesa in virtù del rapporto organico instaurato fra P.A e il suo dipendente.
Tutto questo in linea generale, ma quali potrebbero essere i casi concreti che si verificano?
E’ frequente infatti che nei primi gradi di giudizio l’avvocatura a cui è stato notificato l’atto come previsto dalla normativa vigente non assuma la lite e lasci dunque la rappresentanza all’Amministrazione che si avvale di propri dipendenti.
Ciò è consentito soltanto limitatamente al giudizio di primo grado e riguarda anche la fase cautelare (il classico provvedimento d’urgenza) e dunque considerata la natura impugnatoria dovrebbe escludersi nel procedimento del reclamo come affermato dal trib. di Caltanissetta con la pronuncia del 29 marzo 2000.
Del resto il reclamo dopo la riforma del giudice unico si svolge innanzi al giudice di primo grado (pur in composizione collegiale) e ciò avvalora la tesi di cui sopra. Questo per citare un fatto estremamente tecnico.
Ma potrebbero verificarsi casi, ben più complessi, come ad es. quello in cui l’impiegato-difensore ex art. 417 bis c.p.c. è un collega (spesso che opera nello stesso ufficio) del ricorrente.
Così come potrebbe accadere l’esatto contrario in cui si presenti la circostanza che un dipendente dell’ufficio legale sia fra i soggetti citati o comunque interessati alla causa e ciò metterebbe in discussione il principio di terzietà garantito invece dall’avvocatura, per cui la facoltà concessa all’amministrazione ex art. 417 bis di stare in giudizio “avvalendosi direttamente di propri dipendenti” non dovrebbe trovare seguito, quantomeno per ragioni di opportunità e comunque potrebbe considerarsi anche una questione di massima.
In questi casi l’atto di delega o la previa intesa con l’avvocatura che alcuni uffici giudiziari spesso pretendono, ma non sempre, sarebbe interessante da verificare anche se è prassi di considerare atti irrilevanti nel processo e quindi sottratti al parere del giudice.