Tra non molto entreranno a pieno regime i nuovi comitati di valutazione voluti dalla Legge 107, con il compito di formulare criteri il più possibile precisi e stringenti.
In tal modo, il dirigente scolastico potrà facilmente individuare i docenti destinatari degli incentivi ministeriali. Proviamo qui a elaborare una breve riflessione sulla questione del “merito”, tanto invisa alla stragrande maggioranza dei professori.
Sul fatto che ci siano buoni e cattivi docenti – così come esistono buoni e cattivi medici, avvocati, ingegneri – nulla da dire, condurre una difesa cieca e corporativa di tutta la categoria non sarebbe un’operazione intellettualmente corretta.
Tuttavia, leggiamo la definizione che della parola “merito” ci offre l’Enciclopedia Treccani: Il diritto che con le proprie opere o le proprie qualità si è acquisito all’onore, alla stima, alla lode, oppure a una ricompensa , in relazione e in proporzione al bene compiuto. Ora, se così è, tra qualche mese avremo un quadro desolante della scuola italiana: con i fondi previsti a questo scopo, ogni Istituto riuscirà a premiare – bene che vada – il 20% dei docenti in organico.
Ciò significa che il restante 80% sarà tacitamente dichiarato immeritevole. Ribaltando, dunque, la definizione della Treccani, ogni scuola si ritroverà con un corpo docenti che “con le proprie opere avrà acquisito il diritto al disonore, al discredito, al biasimo”.
Esageriamo? Forse, ma la realtà non cambia. Allora, ci chiediamo, non sarebbe stato più opportuno – e, soprattutto, strategicamente più sensato – investire i 200 milioni di euro all’anno in una vasta operazione di riqualificazione metodologica – didattica di questo 80% di personale che sarà tagliato fuori dai meccanismi di premialità e che di certo nutrirà ancora di più sentimenti di frustrazione e inadeguatezza ? Insomma, se prima erano demotivati, lo saranno ancora di più.
A questa fascia di docenti il ministero dell’Istruzione avrebbe dovuto fare sentire la sua vicinanza, il suo impegno sul campo della formazione!
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Ma immaginiamo, per assurdo, che questo sistema di incentivi così concepito sia un’ottima idea: che competenze riconosciute hanno i membri dei comitati di valutazione che dovranno formulare i criteri per distinguere il docente buono da quello cattivo? Che competenze hanno i genitori, che nella loro vita reale sono impiegati, commercianti, professionisti? Che competenze hanno gli alunni che, per l’appunto, sono alunni e dunque in pieno percorso di apprendimento?
Gli unici che potrebbero avere un minimo di pratica in questioni di carattere valutativo sono i professori. Ma non dimentichiamo che il Comitato si limita a stilare dei criteri, sulla base dei quali in ultima battuta sarà il dirigente scolastico a scegliere i fortunati meritevoli. E non pensiamo ci voglia molto a fare in modo che quei criteri – per quanto stringenti – siano adattabili e su misura per molti docenti, magari anche per i professori che il dirigente, in cuor suo, già stima e che vorrebbe premiare.
Insomma, sarebbe stato meno ipocrita – diremmo addirittura legittimo, senza menare il can per l’aia – affermare chiaro e tondo che tocca al dirigente scegliere di anno in anno i docenti ai quali assegnare un incentivo economico.
Per finire, vi inviamo un’idea in punta di tastiera a chi di competenza: fermo restando il meccanismo di avanzamento di carriera legato all’anzianità di servizio, sarebbe più oggettivo, trasparente e di certo maggiormente condiviso dai docenti, bandire periodicamente un concorso interno aperto a chi volesse ottenere un livello stipendiale e di riconoscimento professionale superiore.
Un concorso per esami e titoli che valuti le competenze pedagogiche, didattico – metodologiche e relazionali, unica via d’accesso a una categoria superiore che si potrebbe denominare, a titolo esemplificativo, di professori esperti.
È, in buona sostanza, il modello francese, ben rodato e in atto da una quarantina d’anni. Ma un concorso costa, certo… È molto più semplice e in linea con la politica a basso costo dei governi che si sono succeduti negli ultimi venticinque anni: attuare “riforme epocali” senza spendere un euro, affidando compiti gravosi e d’importanza capitale a commissioni e comitati di dubbia competenza.
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