Non sono state raggiunte le 500mila firme necessarie per chiedere il referendum abrogativo dei 4 punti più controversi della legge 107/Buona Scuola. Come è possibile? Apparentemente, la riforma non è stata affatto digerita e la contrarietà per i contenuti di una legge che snatura il valore costituzionale della scuola pubblica è forte.
Basta guardare l’esito del sondaggio pubblicato il 5 ottobre scorso dalla Gilda degli Insegnanti, realizzato dalla Swg e basato su un campione rappresentativo e oggettivo: 4 insegnanti su 5 bocciano la Buona Scuola, e 2 su 3 giudicano negativamente la nuova figura del dirigente scolastico, il comitato di valutazione e il bonus di merito. Appena il 5% degli insegnanti interpellati è favorevole al meccanismo della chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici.
Due dei quesiti referendari riguardavano proprio questi punti cruciali, e chiedevano l’abrogazione della facoltà attribuita al preside della chiamata discrezionale dei docenti e della assegnazione del bonus premiale. Gli altri due quesiti riguardavano l’abrogazione dei finanziamenti privati alle singole scuole e l’abrogazione dell’obbligo di minimo 200-400 ore di alternanza scuola-lavoro.
Se si vanno a leggere i commenti sui social, ci si rende conto che la rabbia è tanta, come pure la delusione verso un premier che all’inizio aveva fatto tante promesse, mentre poi ha cambiato verso e tirato dritto senza ascoltare il mondo della scuola.
L’iniziativa referendaria ha visto inoltre la mobilitazione di molti sindacati e decine di movimenti e associazioni. Il mondo della scuola conta da solo 750mila docenti, più il personale Ata. E allora perché non si è arrivati a quelle fatidiche 500mila firme?
Non stupisce più di tanto che l’intereresse sia stato tiepido da parte dell’opinione pubblica, che non si è mai appassionata di scuola, ed anzi è sembrata perfino favorevole ai maggiori poteri dati ai presidi e alla valutazione dei docenti (perché questa è la comunicazione che è passata).
Allora le spiegazioni vanno cercate soprattutto dentro la scuola, fra chi ci lavora. Una volta approvata la legge, l’atteggiamento è stato quello di rassegnarsi al nuovo corso. “Non c’è più nulla da fare”, si pensa fatalisticamente. Resta il malumore, però. Una “rassegnazione arrabbiata” è forse l’ossimoro che meglio sintetizza lo stato d’animo di tanti insegnanti.
Teniamo conto che il corpo docente è in massima parte femminile (la media è del 71% e nelle elementari si arriva al 96%), tradizionalmente meno combattivo di altre categorie di lavoratori, e si direbbe quasi remissivo se guardiamo alle battaglie fatte da altri lavoratori europei.
Consideriamo inoltre che i docenti italiani sono i più vecchi d’Europa, gli ultracinquantenni sono il 57,5%, e il 17,5% supera i 60. Molti sono prossimi alla pensione e, dopo aver subito in questi anni l’accanimento riformistico di vari governi, non ne possono proprio più.
E allora trionferà Renzi con la sua riforma epocale che plasmerà l’Italia dei prossimi 50 anni?
C’è un’ultima chance: il referendum costituzionale. Non ci sarà il quorum, ma alla fine conterà il +1 o –1.
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