A dire che la lezione frontale “non serve e che è superata” è il pedagogista Daniele Novara, che aggiunge: “La lezione frontale, su cui si basa ancora il nostro sistema scolastico, si fonda su una grande illusione: gli alunni devono ascoltare”.
Della questione si è parlato nel corso di un convegno organizzato dal Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti (cpp) e patrocinato dal Comune di Milano, e di cui dà notizia l’Ansa.
“Mille ragioni psicoevolutive e neurocerebrali ci dimostrano che apprendere dalla lezione frontale è molto difficile, per non dire impossibile”. E la scuola italiana “è ingabbiata nella didattica della “risposta esatta””, con quiz e test a crocette che “sviliscono le capacità di apprendimento di ragazzi”.
“Di male in peggio col digitale”. Scrivere a mano sviluppa capacità visive, viso-motorie e viso-costruttive che l’uso della tastiera non stimola. Inoltre, la motricità fine legata alla scrittura influenza anche le capacità mnemoniche.
Il nuovo modello di riferimento metodologico elaborato dal pedagogista dovrebbe avere tre parole chiave: azione, osmosi sociale, opportunità.
La lezione frontale richiede molta capacità di attenzione, che, come dimostrato da tante ricerche neuroscientifiche, non è sostenibile neanche dagli adulti, figurarsi da bambini e ragazzi. La lezione frontale non implica alcuna competenza pedagogica: si spiega, si richiede agli studenti lo studio individuale, attraverso la ripetizione dei contenuti spiegati, e, infine, si interroga e si valuta l’alunno.
L’attenzione è “selettiva” e in classe l’apice di attenzione raggiunge i 10 minuti, poi cala progressivamente per altri 20 minuti e riprende a salire dopo circa mezz’ora dall’inizio della lezione. Inoltre, considerato che in classe alunni e studenti sono sottoposti a infiniti fattori di interazione e disturbo, è facile rendersi conto come la lezione frontale sia chiaramente fallimentare. Quindi,dopo 50 minuti di spiegazione, è normale che i ragazzi abbiano adottato la tecnica dello sguardo catatonico: si concentrano sull’insegnante senza minimamente ascoltarlo.
Da Socrate a sant’Agostino, fino a Maria Montessori, Danilo Dolci o Paulo Freire, l’approccio maieutico all’apprendimento parte dall’assunto che, all’opposto della lezione frontale,l’attore del processo di apprendimento è lo studente, non il docente.
1) impostare una situazione stimolo aperta, che generi problemi e domande maieutiche. Significa attivare e creare un momento di impatto e di sorpresa. Qualcosa che favorisca anche un decentramento, e l’incontro con l’inedito. È il meccanismo dellamotivazione estrinsecache però questa volta, invece di essere impostato classicamente sulla punizione o la gratificazione, funziona come stimolo. Ti attivo, ti coinvolgo, ti sorprendo, ti muovo.
2) Proporre e costruire esperienze. Il ruolo del docente è quello di progettare un ambiente e delle situazioni di lavoro, non di sostituirsi allo studente nel percorso. L’obiettivo è l’azione: incontri, sperimentazioni, laboratori, percorsi, ricerche, confronti sono alla base di questa impostazione didattica, e il mezzo è il gruppo dentro al quale il percorso esperienziale si arricchisce delle risorse e delle potenzialità, come anche dell’esperienza del limite, di ciascuno.
3) Attivare riconnessioni e scoperte.È la fase del debriefing. Dopo che l’esperienza è stata fatta occorre un lavoro in cui si cerca di capire, di riconnettersi a ciò che già si conosce, verificare ciò che è stato scoperto. È la fase dellarielaborazione attivadel materiale che comporta anche il processo di memorizzazione, riproposizione e infine archiviazione di ciò che si è imparato.
4) L’ultimo step del processo riguarda le ricadute operative e le esercitazioni. È l’operatività, la possibilità di riutilizzare in contesti e momenti diversi quello che si è appreso che garantisce l’aver imparato.
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