Le contrapposte dichiarazioni delle protagoniste: la preside dell’Istituto Sacro Cuore di Trento e la professoressa, entrambe vittime di una strumentalizzazione mediatica e faziosa – rivelano una situazione complessa.
Suor Anna Monia, come si possono coniugare e far dialogare i diritti della scuola cattolica e degli operatori laici?
Il rispetto reciproco può essere il criterio di fondo per superare contrapposizioni e divisioni inconcludenti. Anzitutto, la scuola cattolica è nata e sviluppa il suo servizio sul fondamento di precisi valori educativi, dichiarati pubblicamente, a conoscenza degli operatori che scelgono di insegnarvi e dei genitori che operano una scelta in una pluralità di offerta formativa. Il dipendente è certamente titolare di diritti personali inviolabili che naturalmente non possono non tener conto dei diritti degli utenti e dei principi educativi dell’istituzione in cui egli opera e che non possono essere affermati in contrapposizione alla ragion d’essere della stessa scuola.
In seconda battuta, la scuola cattolica non è la scuola dei preti e delle suore. Una scuole non è “cattolica” per il fatto che vi operano docenti religiosi. La scuola cattolica è anzitutto una scuola che fa parte del sistema pubblico nazionale di istruzione e che rende ai cittadini un servizio pubblico con una identità chiara e dichiarata e pertanto liberamente accolta dai propri collaboratori docenti e dalle famiglie degli studenti che la scelgono. Mi pare questo il più elementare dei principi democratici. La mia esperienza è quella di una scuola dove c’è una azione corresponsabile fra i docenti laici e religiosi e che la famiglia sceglie in una pluralità di offerta formativa. C’è chi sceglie la scuola pubblica paritaria ebraica, chi sceglie quella pubblica paritaria cattolica, chi quella pubblica statale laica.
È la famiglia che ha la responsabilità educativa e pertanto deve vedersi garantito, dallo Stato di diritto e dalle agenzie educative tutte, il libero esercizio del diritto di scelta. Sono certa che una scuola pubblica paritaria cattolica possa essere gestita da collaboratori laici senza alcun rischio di tradire le ragioni di fondazione. D’altronde non le nascondo l’imbarazzo che avverto quando si contrappone il laicato alla vita religiosa. La vita religiosa è una modalità di vivere il proprio stato laicale e – aggiungo – per me è la mia storia d’amore. Dunque si levi alto il nostro pensiero sopra visioni non corrette, che associano ancora la vita religiosa a letture monotematiche. Mi definisco anzitutto una laica consapevole della propria scelta cristiana adulta ed è qui che si può inserire una vita matrimoniale, una vita religiosa, una vita clericale, una vita adulta, insomma.
In questa vicenda – che i massmedia hanno ingigantito e deformato – qual è, secondo lei, l’atteggiamento da assumere?
Preciso: i mass media hanno la capacità di stravolgere la realtà, quando sono espressione di menti che intendono fare questo. L’atteggiamento corretto è quello di interlocutori rispettosi l’uno dell’altro, senza la pretesa che la propria libertà vada a ledere la libertà dell’altro.
Quale l’atteggiamento da assumere in questa vicenda? Quello di individui adulti e responsabili, consapevoli dei propri diritti e doveri nei confronti di terzi. Bizzarro: rimproveriamo i nostri figli, giovani , studenti che passano le ore al computer su FB, eppure un certo nostro modo sterile di comunicare non appare così differente. Allora, come spesso dico ai miei collaboratori, la nostra parola, questa parola, cosa vorrebbe costruire e quale contributo può dare? E mi creda, per costruire non occorre sempre distruggere e non è detto che dalle macerie si possa costruire qualcosa. Quello “spaccare tutto” che poi non riesce a costruire niente, a chi serve?
L’atteggiamento che mi aspetto è quello di una comunicazione costruttiva, capace di criticare la realtà ma nel desiderio di conoscerla a fondo ancor prima di giudicarla.
Mi aspetto la ricerca del confronto, della chiarezza. Oppure pensiamo che aver strumentalizzato la vicenda per schierarci ai bordi del ring faccia del bene ai nostri giovani, alle famiglie, alla scuola, ai docenti, alla societas? Spesso svuotiamo la realtà, restituendo all’altro non il bello che merita, ma il peggio che siamo noi. Insomma, se per affermare un diritto ho bisogno di demolirne un altro, beh, non è forse un segno di fragilità? Parliamone.
Il Ministro Giannini ha dichiarato che intende prima ascoltare le parti per poi prendere una decisione in merito. Come considera tale atteggiamento di prudenza?
Lo considero un atteggiamento di buon senso che mi riporta alla dignità di una nazione capace di critica costruttiva. Come non apprezzare la linea di un Ministero che desidera approfondire prima, sentire le parti coinvolte per poi capire come agire. E agire perché e per chi ? Ce lo siamo chiesti ? Ci collochiamo fra quelli del mostro da cercare e trovare a tutti i costi e da sbattere in prima pagina, forse per sentirci tutti un po’ più assolti? Siamo forse fra quelli che debbono trovare a tutti i costi la vittima sacrificale da tutelare apparentemente al fine di sentirci più buoni?
Mi consenta: in questi giorni, tranne rare eccezioni, mi è parso che si siano strumentalizzate e la scuola e la docente per battaglie ideologiche di qualsiasi colore che non aiutano nessuno, per alimentare lo scontro mediatico, per contrapporre diritti, nella fantascienza di chi crede che basta demolire per costruire qualcos’altro. Ecco che l’unica dichiarazione di poche righe del Ministro, sulla necessità anzitutto di verificare e capire, e per capire occorre ascoltare tutti, prima di agire, mi pare di buon senso. Questa strategia forse scuote la frenesia di schieramenti; le divisioni, infatti, uccidono il pensiero e non aiutano nessuno.
Nel comunicato stampa ufficiale della fidae si riafferma “ la necessità di superare vecchie e nuove contrapposizioni ideologiche che portano solo lacerazioni, per ricercare invece, insieme, nel rispetto gli uni degli altri, il bene di tutti”. Come poter far dialogare i diritti di ciascuno nella logica del bene educativo della scuola?
Lo considero un comunicato chiaro e capace di riportare l’attenzione al cuore della quaestio. Apprezzo che ci si astenga, come è auspicabile, dall’”esprimere una propria valutazione di merito” e riafferma nel contempo un “principio generale che è quello dell’assoluto rispetto della persona, dei suoi diritti come lavoratore, del dialogo, della collaborazione, della solidarietà tra lavoratore e datore di lavoro, del perseguimento del fine primario di una scuola che è il bene dell’alunno e di tutti coloro che in essa, a vario titolo, operano.”
Nel far dialogare i diritti di ciascuno occorre stabilire la corretta relazione tra di essi. Il bene educativo prima che alla scuola paritaria o allo Stato, appartiene all’allievo per il tramite della Famiglia. Il diritto del minore è il criterio di composizione di tutti gli altri diritti, pur legittimi ed importanti. C’è bisogno che nel confronto tra la scuola e la dipendente sia preso in dovuta considerazione il diritto dell’allievo e della famiglia che sceglie quella scuola alla luce di un esplicito Patto educativo, che non può essere stravolto o disatteso per una scelta di parte.
La libera scelta educativa dei genitori, sancita dalla costituzione, potrà essere ostacolata da altri principi altrettanto degni di rispetto?
Non credo che un diritto possa rappresentare la negazione di un altro diritto.
Se si vuole rispettare l’ordine logico e giuridico è indubbio che la priorità educativa spetti al ragazzo e alla sua famiglia; ogni altro diritto non può che trovare una coerente composizione.
Nel corso degli anni di studi universitari, di diritto appunto, si insegnava che una comunità civile domanda diritti e doveri in una perfetta e armonica sinergia. Ad esempio, il mio diritto di vivere incontra il tuo dovere a non ledere la mia vita. Il mio diritto di genitore a scegliere l’educazione per i miei figli che più si confà ai miei principi incontra il dovere ad essere garantito. In uno Stato di diritto, i diritti non sono contrapposti; piuttosto, si apre il capitolo della capacità dello Stato nel garantire i diritti dei cittadini. Se lo Stato italiano avesse saputo garantire la libertà di scelta educativa e la libertà di insegnamento, come sanciti dalla Carta Costituzionale sin dal 1948, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla due risoluzioni UE 1984 e 2012, come avviene in tutti i paesi civili in Europa, forse oggi anche noi avremmo imparato a non negare i diritti, a non strumentalizzarli ecc. Da qui il ruolo fondamentale delle istituzioni che possono e devono ristabilire ordine e armonia, contribuendo a superare inutili contrapposizioni. Per questo plaudo alle risposte ministeriali di buon senso.
Questi episodi, artificiosamente strumentalizzati, potranno nuocere all’identità della scuola pubblica cattolica?
Non credo che mai nulla possa nuocere a una identità, qualunque essa sia, purché questa identità sia chiara e al servizio di un bene pubblico che ci supera. Gli eventi raccontati di questi giorni non so che risvolti avranno per se stessi, ma sinceramente desidero che l’ “evento reale” che ha interessato la scuola e la docente ritrovi la propria dignità di evento da chiarire tra le parti e nelle sedi che lo potrebbero ospitare, nel pieno rispetto reciproco, per il bene di tutte le componenti coinvolte direttamente e indirettamente… Forse un’azione simile di buon senso e di chiarimento deluderà gli assetati di gossip, manon ho mai favorito e apprezzato gli scontri: sono ancora convinta che la custodia delle parti e la tutela dei diritti mal si prestino alle contrapposizioni, bensì abbiano estremo bisogno del dialogo costruttivo.