L’invasione dei termini inglesi nella lingua parlata (e scritta) italiana porterà l’italiano a non evolversi più, restare quindi indietro.
E’ il giudizio dell’italianista Antonio Zoppetti, che su Il Corriere della Sera.it spiega lo stato in cui versa la nostra lingua, oltre alle motivazioni che spingono sempre più persone ad utilizzare anglicismi, molto spesso in realtà scorretti.
“Dietro l’abuso di termini inglesi, usati spesso in modo inappropriato o addirittura fantasioso, si nascondono vari motivi: dall’ignoranza alla sudditanza economica e culturale, dal desiderio di rendere oscuri certi provvedimenti all’illusione di rendere più prestigiose alcune qualifiche”, spiega Zoppetti, ma questo paralizza la nostra lingua. L’abuso di anglicismi, che non ha eguali nelle altre lingue europee, e fa sì che stiamo rinunciando a creare parole nuove nella nostra lingua. Ovvero non la facciamo più crescere: e le lingue sono vive, hanno bisogno di cambiare e adeguarsi ai tempi. Detto questo usiamo termini inglesi anche quando la parola italiana c’è e, magari, è più sintetica. Ovvero, quello che colpisce del fenomeno è la quantità degli anglicismi e la non ragionevolezza di usarne alcuni, che rendono obsolete molte nostre parole”.
La colpa non sarebbe soltanto, com’è accaduto in passato, della “supremazia” culturale anglosassone (come era successo con il francese nel Settecento e nell’Ottocento), o della forza di alcuni eventi storici (perestrojka e glasnost sono entrate nel nostro lessico negli anni Ottanta), ma spesso del potere delle multinazionali che si muovono, in ambito internazionale, solo utilizzando l’inglese, si legge ancora su Il Corriere della Sera.it
Nel mondo del lavoro c’è stata una graduale escalation di anglicismi, a volte scorretti, o peggio ancora, per nascondere o eludere il significato dei concetti.
Pensiamo al temine manager, associato ad altre parole il cui significato complessivo risulta oscuro per i più.
Ma l’italianista chiama in causa anche i politici italiani, che presi dalla smania di tutti questi anglicismi, sono passati dall’incomprensibile politichese, al più oscuro italnglese: “usare l’inglese rende oscure molte misure. Come se al politichese si fosse sostituito l’itanglese per illudere al tempo stesso che le cose stessero cambiando, ma per non dover spiegare in che cosa consista l’innovazione. Tra le vecchie Agenzie di collocamento e le nuove Job Agencies le difficoltà per chi cerca lavoro restano le stesse. Gli untori qui sono stati i giornalisti, con la scusa che l’inglese è più sintetico e permette di risparmiare sul verbo nei titoli. Così si ottengono titoli forse a effetto, ma spesso incomprensibili”.
Zoppetti chiude invitando gli italiani a “riesumare” il buon vecchio italiano, sforzandoci di tornare ai tempi del pomodoro: “possiamo tornare a usare le parole che già esistono. O inventarne di nuove: quando dall’America arrivò un ortaggio tondo e rosso, noi non riprendemmo la parola spagnola tomateche a sua volta veniva dall’azteco tomatl e lo chiamammo, con una bellissima metafora, pomodoro. Perché non riprovarci?”.
Senza contare che l’invasione degli inglesismi influisce pesantemente anche sull’istruzione, con gli studenti che da un lato padroneggiano sempre più i termini più in voga del momento, ma che così non scopriranno mai realmente le potenzialità della lingua italiana, oltre il vero significato delle parole inglesi che utilizzano.
E poi, se non lo innovano le nuove generazioni, chi deve innovare l’italiano?
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