Si assiste sempre più spesso ad intrusioni nella comunità scolastica da parte dei genitori, che non si limitano a normali richieste di chiarimento sull’andamento scolastico dei propri figli, ma che si spingono a critiche immotivate ed offensive nei confronti degli insegnanti, arrivando in alcuni casi anche a minacce ed atti di violenza nei loro confronti.
La sentenza che si commenta cerca di riportare il rapporto “scuola-famiglia” nel rispetto delle regole fondamentali di comportamento.
Una madre – per un malinteso senso di difesa e protezione – si introduceva abusivamente nella scuola attraverso una porta secondaria posta sul lato posteriore, per riprendersi il figlio durante l’orario delle lezioni.
Il tutto senza chiedere un formale permesso di uscita.
La collaboratrice scolastica, presente nel piano, veniva aggredita verbalmente.
La confusione che ne derivava, induceva le insegnanti ad affacciarsi nel corridoio, per vedere cosa stesse accadendo, interrompendo così l’attività didattica.
Per queste ragioni la mamma veniva condannata per violazione dell’art. 340 del codice penale (“Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità”).
La signora impugnava la sentenza di condanna, fino all’ultimo grado di giudizio, sostenendo tra l’altro che – poiché l’episodio era durato una decina di minuti – di fatto il “servizio” scolastico aveva continuato a funzionare.
Sosteneva inoltre che -poiché sapeva che il figlio in quel momento si trovava in segreteria- lei non aveva avuto alcuna intenzione di turbare il regolare svolgimento delle lezioni.
La Corte di Cassazione 8Cassazione penale, sentenza 28213/2020) non ha ritenuto sufficienti queste giustificazioni.
La Corte ha ricordato che affinché si configuri il reato previsto dall’art. 340 c.p. non è necessario che il servizio venga interrotto o turbato nella sua totalità, essendo sufficiente che lo stesso venga anche solo in parte compromesso nel suo svolgimento.
Questo perché la fattispecie non tutela solo il funzionamento effettivo di un ufficio o servizio pubblico, ma anche il suo svolgimento in modo regolare e ordinato (Cass. n. 46461/2013).
Dunque, anche un’interruzione delle lezioni per solo dieci minuti è sufficiente ad integrare il reato.
Come si è visto, la signora aveva contestato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, sostenendo che non era sua intenzione provocare l’interruzione del servizio.
La Corte ha però osservato che non era la prima volta che l’imputata travalicava le regole di comportamento, in quanto si era già verificato che la mamma minacciasse, aggredisse ed offendesse insegnanti ed operatori scolastici per un malinteso senso di difesa del figlio, più volte ripreso a causa di “comportamenti intemperanti, aggressivi e violenti sia nei confronti dei propri compagni che degli insegnanti”.
La Corte di Cassazione ha dichiarato pertanto il ricorso inammissibile, confermando la precedente condanna e condannando inoltre l’imputata al pagamento delle spese processuali e di ulteriori tremila euro in favore della Cassa per le ammende.
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