Nelle nostre scuole l’insensibilità e il rispetto per gli alunni più deboli sono purtroppo tutt’altro che rari casi: è di qualche giorno fa la notizia di una studentessa disabile esclusa da un liceo musicale di Milano (a numero chiuso) perché costretta a svolgere il test d’ammissione come gli altri candidati. Da Roma giunge una notizia che, se confermata, sarebbe ancora più grave: è quella di una maestra che avrebbe adottato comportamenti non corretti, forse addirittura violenti, nei confronti di un bambino disabile. Il fatto – accaduto nell’Istituto comprensivo Carlo Levi, posizionato nella parte Nord della capitale – avrebbe già indotto l’Usr, dopo aver approfondito il caso inviando una ispettrice – a sospendere l’insegnante.
Interviene la ministra per le Disabilità
A denunciare il fatto sembra che sia stato il presidente del consiglio di istituto, durante il programma ‘Gli inascoltabili – New soound Level’.
La ministra per le Disabilità, Erika Stefani, commenta le “aggressioni ai danni di un alunno con disabilità da parte di un’insegnante, sulla quale auspichiamo sia fatta chiarezza il prima possibile. Ci uniamo alla preoccupazione di studenti e famiglie. Se le accuse dovessero rivelarsi vere sarà sicuramente fatta giustizia. Ricordiamo che la scuola è il primo luogo nel quale gli alunni passano la propria vita e dovrebbe essere sempre un posto di inclusione”.
La scuola dovrebbe tutelare i bambini
Anche l’assessora alla Scuola, Lavoro, Formazione di Roma Capitale, Claudia Pratelli si è detta “vicina e attenta alle preoccupazioni espresse dalle famiglie degli studenti e delle studentesse dell’Istituto comprensivo Carlo Levi di Roma: le scuole – ha sottolineato – devono essere il luogo in cui costruiamo l’inclusione, educhiamo alla cooperazione, al dialogo e al rispetto reciproco, uno spazio in cui tutte e tutti i bambini hanno il diritto di esprimere a pieno la propria personalità, sviluppare le proprie aspirazioni e competenze. E spetta al corpo docente promuovere e assicuri le condizioni perché ciò avvenga”.
L’assessora specifica che il Comune con quanto accaduto non c’entra nulla, perché “all’interno delle scuole statali non vi è diretta competenza dell’assessorato alla scuola, né comunale e né municipale, ma è ovviamente interesse di tutti i livelli istituzionali che nella nostra città non siano tollerate situazioni di questo tipo”.
Come si è arrivati alla sospensione
“Ci siamo tranquillizzati in merito alla vicenda poiché l’Ufficio scolastico regionale ci ha confermato, dopo le ispezioni, di aver sospeso la docente” dal servizio “per sei mesi”, ha detto all’Ansa Paola Ilari, vice presidente e assessore alle politiche educative del Municipio III. Un provvedimento che con ogni probabilità priva la maestra per lo stesso periodo anche dello stipendio.
Quando arrivarono a noi delle “segnalazioni in merito alla vicenda e abbiamo” riportato “tutto all’Usr”, che ha avviato una ispezione al termine della quale la docente ha ricevuto un procedimento disciplinare e in seguito è stata sospesa.
Quali conseguenze sulla maestra?
Parallelamente, trattandosi di un’ipotesi di reato, peraltro aggravato perché attuato su un alunno disabile, si potrebbe avviare anche un’indagine penale e quindi di finire alla sbarra.
Al termine della quale, qualora l’accusa dovesse rivelarsi fondata, la docente rischierebbe non solo una condanna (nemmeno lieve) penale, ma anche seriamente di perdere il posto o di essere considerata permanente inidonea all’insegnamento e quindi spostata su mansioni attinenti al personale Ata.
Vi sono casi, anche recenti, in cui il licenziamento o il passaggio su profilo Ata sono “scattati” dopo avere accertato accuse decisamente meno gravi rispetto a quelle indirizzate verso la maestra dell’istituto comprensivo Carlo Levi di Roma.
Se però il licenziamento non era legittimo…
È bene anche sapere che il lavoratore pubblico che viene messo alla porta in modo illegittimo ha facoltà di chiedere di fare richiesta al giudice (entro 180 giorni dal momento in cui viene impugnato e non più di 270, dopo la riforma del 2012), al fine di essere reintegrato o per chiedere un risarcimento.
E quando viene appurata la “illegittimità” del licenziamento, la mancata “giusta causa”, scatta la mancanza del motivo valido del provvedimento.