Una maestra elementare di Rivoli, in Piemonte, che per sei anni, dal 1990 al 1996, aveva gestito, a modo suo, i buoni pasto e le relative somme di denaro che le famiglie le affidavano, era stata condannata per i reati di peculato e falso ideologico a due anni e quattro mesi di reclusione dal Tribunale di Torino. La pena è poi stata dimezzata in Appello e confermata dalla Cassazione, che ha respinto il ricorso della Procura della Corte di Appello di Torino.
Le appropriazioni erano intese dall’insegnante come "giusto compenso per il servizio, oggettivamente impegnativo, reso a favore della comunità scolastica".
La Cassazione ha giudicato di «lievissima entità» il danno arrecato allo Stato dalla maestra "per il servizio oggettivamente impegnativo reso a favore della comunità scolastica".
Emblematica la dichiarazione di un dirigente scolastico, Giancarlo Gambula, rilasciata al Corriere della Sera: «Secondo me quello che è accaduto va letto come un fatto di costume: un’insegnante universalmente ritenuta seria e stakanovista è "costretta" a rubare, nella ricerca di uno spazio in cui venga riconosciuta la sua professionalità. Questa è una rivalsa nei confronti di uno Stato patrigno che non riconosce in modo adeguato e per vie dirette il lavoro effettivamente prestato: possiamo definirla una sorta di "appropriazione debita".
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