La Mafia? A scuola non se ne parli, gli si darebbe troppa importanza

Ci sono varie strategie per affrontare il “male”: parlarne apertamente, in modo indiretto, facendo solo lievi accostamenti. Oppure facendo finta che non esiste. Ognuno adotta quella a lui più congeniale. In base alle proprie abitudini, al carattere personale, al grado di cultura. Quando si tratta di una patologia, di una malattia, bisogna sempre avere rispetto per la decisione presa. Quando, però, si ha a che fare con un fenomeno come la mafia, allora il discorso cambia. Soprattutto se a chiedere il silenzio sono le istituzioni nei confronti della cittadinanza scolastica.
Come è accaduto il 2 giugno, anniversario della Repubblica italiana. Quando l’assessore regionale siciliano per l’Istruzione e la Formazione professionale, Mario Centorrino, si è detto d’accordo con le parole utilizzata alcuni giorni prima dal sindaco di Trapani, Vito Damiano, che aveva detto: “non bisogna parlare di mafia perché si rischia di dargli soltanto troppa importanza”.
Centorrino si è detto “orgoglioso a proposito delle affermazioni dal sindaco di Trapani Vito Damiano sull’inopportunità di parlare di mafia nelle scuole, e sulla opportunità, invece, che in tutti gli istituti di istruzione della Sicilia si realizzino progetti educativi per la diffusione della cultura della legalità”.
“Progetti messi in atto –
ha proseguito l’assessore sicialiano – con la convinta collaborazione dei docenti e con l’utilizzo di risorse finanziarie da parte di questo assessorato così da prefigurare un modello didattico virtuoso che venga preso ad esempio anche da altre regioni italiane“.
Viene ora da chiedersi quali benefici possa aver portato negli ultimi decenni l’atteggiamento di indifferenza generalizzata. E non solo da parte della scuola. Ma soprattutto, interrogativo ancora più inquietante, si possono educare le nuove generazioni a condannare e a prendere le distanze dalla malavita organizzata, facendosi portabandiera della cultura del silenzio?
Alessandro Giuliani

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