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La mafia? Per gli studenti è colpa di politici e dirigenti: meno male che c’è la scuola

La sfiducia provata dagli studenti italiani verso i politici e la classe dirigente, considerati non all’altezza per vincere la mafia, sembra trovare nella scuola, nel rapporto con i docenti, un importante riferimento per trovare nuove energie e continuare combatterla. A sostenerlo è il Centro ‘Pio La Torre’ di Palermo che il 26 aprile ha pubblicato i risultati di un’indagine – svolta in 82 istituti attraverso un questionario le cui risposte sono state interpretate da un software ad hoc (T-Lab) – sulla percezione del fenomeno mafioso dei giovani studenti che hanno partecipato alle videoconferenze del progetto 2009/2010. Premesso che il giudizio espresso nei verso i vertici della società è davvero severo – oltre il 55% degli intervistati ha detto che a ‘permettere alla mafia siciliana di continuare ad esistere’ è ancora oggi “la corruzione della classe dirigente” – gli studenti hanno manifestato un forte messaggio di fiducia nella scuola pubblica, intesa come palestra di democrazia”. Anche per questo nobile motivo – sostengono dal centro palermitano – essa va salvaguardata e potenziata, non considerata “l’arido bancone di bottega il cui conto economico deve essere in attivo. La scuola, la ricerca, l’università, i servizi pubblici, dalla sanità all’acqua, e il loro buon funzionamento per i cittadini, sono i pilastri di una moderna democrazia, non populistica, che non ammette illegalità. Sono i fondamenti di una Repubblica fondata sul lavoro e sulla solidarietà”.
Significativo, in questa direzione, il fatto che il 40% degli intervistati abbia ammesso che i docenti della classe aiutano “molto”’ a trattare argomenti utili a conoscere il fenomeno mafioso; se si aggiunge un altro 40% abbondante, che ha risposto “abbastanza”, ne consegue che oltre otto studenti su dieci ottengono dalla scuola quello che non recepiscono da altri contesti. La scuola si conferma quindi come luogo preminente per la formazione di una coscienza critica antimafiosa dei giovani. Anche più delle loro famiglie, con le quali, comunque, quasi due studenti su tre (il 63,4%) ammettono di parlare del fenomeno mafioso con una certa costanza.
Non tutti gli studenti hanno però risposto in modo omogeneo: quelli del Nord, in particolare, hanno dimostrato di avere una percezione diversa del fenomeno rispetto ai coetanei del meridione. Se il giudizio complessivo sulla mafia è, infatti, assolutamente negativo, ma accompagnato da un’ampia sfiducia sulla possibilità di liberarsene a breve fino a considerarla più forte dello Stato”, va detto anche che questa percezione è diversamente avvertita: più alta al Nord e più bassa al Sud, dove gli effetti dell’azione repressiva dello Stato sono meglio conosciuti perché più prossimi”.
Ma quale è la differenza tra le due aree territoriali? Nel Nord – spiega il Centro siciliano – i reati socialmente più pericolosi e attribuiti alla mafia sono il traffico della droga, il lavoro nero, la prostituzione, mentre nel Sud i giovani al primo posto mettono il racket e subito dopo lo spaccio di droga, sicuramente per la maggiore evidenza mediatica dei fatti estortivi nelle città meridionali.
Un giudizio più uniforme, che abbraccia tutti gli studenti, è espresso a proposito dei dipendenti pubblici: gli studenti intervistati non ricorrerebbero mai ai politici e ai mafiosi per ottenere un lavoro, anzi li ritengono un serio ostacolo. Invece quasi tutti i giovani ammirano chi dedica la loro vita alla lotta contro la mafia e apprezzano il lavoro educativo antimafia dei loro docenti“.
Bocciato, inoltre, l’impegno antimafia della Chiesa istituzionale, quasi anticipando – commentano dal centro Pio La Torre – il recente documento della Cei sul Mezzogiorno che ha ripetuto come la condanna ufficiale della mafia non è stata doverosamente esercitata nella pratica quotidiana delle chiese locali e delle gerarchie. Dall’indagine è infine emersa l’esigenza dei nostri giovani di “spendersi” per il prossimo: oltre il 59% ha dichiarato che ‘impegnarsi per gli altri e per la comunità in cui si vive significa principalmente “dedicarsi a chi ha bisogno”.
Alessandro Giuliani

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