La legge di bilancio 2019, appena approvata, comprende anche l’anticipo pensionistico con la cosiddetta quota 100. Rispetto alla volontà iniziale del Governo, che era di smontare la legge Fornero, il provvedimento arriva al capolinea decisamente depotenziato: alla fine, dopo le limature pretese da Bruxelles, sono stati stanziati 3,9 miliardi nel 2019, 8,3 miliardi nel 2020 e 8,6 miliardi nel 2021. Per il primo anno, in particolare, il taglio rispetto alla bozza di legge iniziale è di quasi 3 miliardi di euro. Non poco.
In termini pratici, significa che la platea di beneficiari si ridurrà, perchè si è andati ad incrementare i disincentivi a lasciare il lavoro prima del tempo.
Sempre ricordando che non si tratta di una contro-riforma Fornero, perché le disposizioni saranno triennali e non strutturali.
Come per il reddito di cittadinanza, le misure simbolo della manovra M5S-Lega, verrà creato un fondo ad hoc, in attesa di un probabile creato unico, con declinazione doppia, per inizio 2019, forse già il 12 gennaio, che permetterà l’entrata in vigore in primavera. Anche se poi per gli statali si partirà non prima di ottobre 2019, con docenti e Ata che (senza una deroga) rischierebbero addirittura di passare all’estate del 2020.
È in quel decreto-verità che scopriremo i dettagli di quota 100. Con paletti e disincentivi.
“L’ipotesi del decreto unico – scrive l’Ansa -, piuttosto elaborata dal punto di vista tecnico si sta facendo avanti di giorno in giorno anche perché, nel governo, è ritenuta la più adeguata ad abbassare il rischio di nuove tensioni tra M5S e Lega.
Potrà andare in pensione, tra il 2019 e il 2021, chi ha almeno 62 anni e 38 di contributi (c’è ancora da capire entro quale date, probabilmente domani 31 dicembre) con una finestra trimestrale se il lavoratore è privato (la prima scatta ad aprile) e semestrale se pubblico.
Solo che in quest’ultimo caso l’uscita si concretizzerà ad ottobre: una data che per la scuola è improponibile, e se non vi saranno deroghe (poco probabili al momento), i docenti, gli Ata e i dirigenti scolastici interessati a quota 100 saranno costretti lasciare il servizio solo nel mese di settembre 2020.
Poi, rimane confermato il divieto di cumulo con l’attività lavorativa fino ai 67 anni.
Oltre all’avvio slittato molto in avanti e alla liquidazione, c’è poi la spada di Damocle riguardante la riduzione dell’assegno: al Governo continuano a dire che non si tratta di penalizzazioni, ma di fatto la pensione si potrebbe diventare decisamente light, con riduzioni sul lordo fino al 30% rispetto all’uscita a 67 anni o a 42 e tre mesi di contributi per le donne ed un anno ulteriore per gli uomini.
Per ha creduto in un ritorno alle regole pre-Fornero, si tratta di un “particolare” non da poco: per intenderci, un docente che a 67 anni avrebbe percepito un assegno di quiescenza di circa 1.800 euro nette, si ritroverebbe a 1.300 euro.
Se i lavoratori interessati a quota 100 stanno alla finestra, i sindacati non sembrano entusiasti del provvedimento in dirittura d’arrivo. Proprio su quota 100, Susanna Camusso, leader della Cgil, intervistata il 30 dicembre dal Fatto quotidiano, dichiara: “Non siamo di fronte alla abrogazione della riforma Fornero ma un provvedimento che riguarda soprattutto gli uomini dell’industria e una parte del pubblico impiego e che non interviene su tutte le situazioni più critiche: donne, lavoro intermittente e giovani”.
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