È per me la mascherina il simbolo di questo anno che se ne sta andando. Strumento di prevenzione che si è tradotto, forse, in strumento di separazione dall’altro, dagli altri. Ma anche di nascondimento del nostro volto, dei nostri volti. Chi siamo noi, oggi, sotto la mascherina, diventata maschera a tutti gli effetti?
Sì, gli occhi si possono intravedere.Ed anche se riteniamo che gli occhi sono un po’ lo specchio dell’anima, noi non siamo più allenati a guardarci negli occhi, per intuire l’anima che si cela.Ecco, l’augurio per il nuovo anno è che diventiamo capaci di guardarci negli occhi e, nonostante le mascherine, di reinventare forme di fraternità, per vincere l’istinto attuale, fatto di sfiducia, di sospetto, di separatezza, di distacco.
E non è forse la scuola, dopo la famiglia, il luogo principe di questo nuovo allenamento alla socialità, alla fraternità?
Reinventare la fraternità, e la compassione, dunque.
Quindi la domanda di giustizia, di destini comuni, dalle famiglie, alle mille relazioni, alla vita di comunità, alla polis. La scienza, poi, ci darà una mano, con i vaccini e le cure. Ma la darà sino ad un certo punto. Toccherà poi a noi usare anche questi mezzi, per ridare speranza di vita e di futuro a ciascuno, oltre gli individualismi e le tante logiche del sospetto. Non ci si salva da soli.
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