Mentre da tempo le opposizioni ne chiedono le dimissioni e, parlando di rimpasto di Governo, si sibila pure che sarà sostituita con una esponente del Pd , vorremmo fare una carrellata dei ministri dell’Istruzione che dal 2000 ai nostri giorni si sono susseguiti, cercando di capire perché, a nostro parere , Azzolina fondamentalmente si è dimostrata una buona ministra.
Partiamo da Luigi Berlinguer (1996-2000), col primo governo Prodi, che dovette dimettersi a furor di docenti perché aveva pensato a un concorsone per premiare gli insegnanti più meritevoli. Propose però una buona riforma della scuola e altre leggi che ancora adottiamo.
Al suo posto venne il linguista Tullio De Mauro, col governo D’Alema, che svolse l’ordinaria amministrazione e del quale si ricorda il suo pianto televisivo perché i docenti “avevano stipendi da fame”. Di lui null’altro si ricorda, se non il prestigio accademico.
Salito al potere Silvio Berlusconi, nel 2001 come ministra impose Letizia Moratti la quale se da un lato smantellò quel poco che c’era della riforma della scuola di Berlinguer, dall’altro tolse “pubblica” dalla dicitura che sempre c’era stata e lasciò solo “Istruzione” con un chiaro accenno alle scuole paritarie e al modello Milano che apriva alle cliniche private.
Tolse pure l’obbligo del recupero dei debiti scolastici e implementò gli esami di stato con tutti membri interni ad eccezione del presidente. In quegli anni si gridava alla scuola degli asini, sottolineando che Moratti era la peggior ministra della storia della repubblica.
Arrivò quindi Beppe Fioroni nel 2006 col secondo governo Prodi che, invece di riformare tutto ciò che si era promesso in campagna elettorale, usò, così amava dire, la pinza e il cacciavite. Smontò gli esami e aggiustò qualcosa del danno fatto da Moratti.
Che però fu niente rispetto al danno che perfezionò Mariastella Gelmini nel 2008, facendo da spalla al collega dell’economia Giulio Tremonti (Treconti lo chiamava l’opposizione).
Saltarono subito subito 8 miliardi dal ministero, dirottati per altri conti; tagliò materie e insegnamenti, e si imbarcò in una cosiddetta riforma che, oltre a essere un regolamento, perché si basava su precedenti atti, aveva il preciso scopo di demolire la scuola pubblica. Ma non solo, il criterio guida era quello aziendalistico mentre la stella polare riguardava stipendi uguali e bassi per tutti, ma premi per i più meritevoli.
Se ne dovette andare, insieme col Governo Berlusconi, per la paventata bancarotta dell’Italia, mentre i prof portavano le loro risme di carta a scuola per le fotocopie e le mamme la carta igienica per i figli.
E venne Francesco Profumo, col governo Monti di unità nazionale. Durò poco, ma propose di aumentare l’orario dei prof a 24 ore settimanali, a parità di stipendio, introducendo però la digitalizzazione della scuola. Ha dovuto fare tutto senza soldi, e il suo governo, alla fine ultima del mandato sulla scuola, ha tagliato linearmente, senza farsi scrupoli.
Col governo di Giovanni Letta arrivò, nel 2014, l’accademica Maria Chiara Carrozza che potè realizzare molto poco, se non appunto governare l’esistente. E con davvero molte critiche.
Poi fu la volta di Stefania Giannini, col Governo Renzi, della quale sinceramente ricordiamo poco, anche perché tutto il “merito” della cosiddetta “Buona scuola” se lo addossò il premier Matteo. Non commentiamo quella “riforma” perché ancora se ne sentono gli influssi. Tuttavia si ebbe l’impressione che Giannini servisse solo per firmare quanto il Pd di Renzi disponeva. Fu molto contestata quando apparve in topless sulla spiaggia.
E arriviamo al 2016 con la ministra Valeria Fedeli in sella al governo Gentiloni. Si seppe subito che aveva un semplice diploma ma da “Femminista, riformista, di sinistra”, la Fedeli fu chiamata per sanare la contrapposizione tra i docenti e il governo di centrosinistra. Una nomina ideologica per far tacere gli insegnanti sulla “Buona Scuola”. Anche lei se ne andò lasciando tracce opache.
Ora ci toccherebbe parlare di Marco Bussetti col governo di Matteo Salvini, Luigin Di Maio e Giuseppe Conte, dentro l’agglomerato giallo-verde. Di lui si ricorda una dichiarazione contro i prof meridionali, fannulloni, e che avrebbe ottenuto come rimborso per spese non documentate una somma pari a 25.456,24 €. Inoltre, “Prima di lasciare il dicastero emise decreti di nomina su diversi profili professionali successivamente bloccati dalla Corte dei conti per conflitti di interessi”.
E venne infine Lucia Azzolina, col governo Conti bis giallo-rosso, sulla quale si è abbattuta la vicenda Covid-19 e che ha cercato di gestire alla meglio uniformandosi alle direttive del Comitato tecnico scientifico, mentre sulla scuola ha versato fiumi di denaro, come mai si era visto.
Ma non solo, le sue richieste nascano (aprire le scuole per non disperdere i più deboli, i concorsi, tablet per tutti, mappa dell’edilizia scolastica, banchi mobili in vista di una didattica più inclusiva, innesti tecnologici ecc.) dal semplice fatto che, essendo donna di scuola e conoscendo bene i problemi dei suoi colleghi e dei dirigenti, cerca di recuperare laddove si sono fatti scempi. E tanti e grossolani.
Ma sa bene, e spesso lo fa intendere, che la nostra scuola se vuole davvero funzionare ha bisogno di una leva aretusea, come quella che voleva il siracusano Archimede per sollevare il mondo.
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