“Da ministro ho le mie idee, ma se non capisco quelle del Paese non posso elaborare l’ultima riforma della riforma della riforma. Vorrei fare insieme agli italiani la grande e giusta riforma della scuola italiana”.
E se queste sono le premesse con cui la ministra intende avviare un’ulteriore revisione della nostra scuola non si può non essere d’accordo, proprio perché sta partendo dal basso, da chi cioè ogni giorno vive l’istruzione e i suoi ordinamenti, le contraddizioni e le illusioni, ma pure le prospettive e le grandi possibilità. Se poi la ministra ne terrà conto o meno, lo vedremo, ma intanto l’intenzione è da promuovere.
E infatti Carrozza invita a partecipare alla consultazione attraverso l’hastag #openMiur, ponendo una serie di domande: L’autonomia scolastica come si deve realizzare? Che tipo di dipendenza dai governi nazionali o regionali si deve attuare? Chi deve reclutare gli insegnanti? I dirigenti scolastici? Il Ministro? Gli uffici regionali? I sindaci? Cosa pensano gli italiani dell’alternanza scuola lavoro? E’ un modo efficace per combattere la dispersione?
Se per alcuni osservatori tali domande e tale sorta di referendum “popolare” hanno i contorni del populismo demagogico, con una chiara dimostrazione di incapacità a dare risposte sicure da parte di una politica boccheggiante, per altri invece il tentativo di riformare dal basso la scuola potrebbe dare finalmente risultati diversi o quantomeno più aderenti alle necessità di chi ogni giorno la vive, compresi gli studenti.
Nelle linee generali dunque l’apertura democratica ha fondamenti apprezzabili, ma la domanda successiva è però la seguente: riuscirà la politica, che ha sempre fatto spallucce nei confronti dell’istruzione, a mettere in atto suggerimenti e proposte che il popolo della scuola, anche in modo confuso, ha indicato?
E ancora: come farebbe Carrozza a conciliare i risparmi di spesa, le indicazioni che arrivano dall’Europa, le istanze della destra (scuole private, voucher, valutazione, reclutamento ecc.), le sperimentazioni avviate (un anno in meno alle superiori) con le possibili proposte dirompenti che possono venire da questo “parere” popolare?
Fra l’altro la ministra si è pure impegnata a fare una consultazione sugli ordinamenti, sui cicli di studi, sulle nuove materie da inserire nei corsi di studio per rendere pubblici i risultati a giugno e discuterne poi a settembre.
Nulla togliendo alle buone intenzioni della ministra “democratica”, ma come pensa di potere gestire in termini di efficacia e di buon esito e di effettiva implementazione nella fase operativa la valanga di proposte che inevitabilmente verranno? E sempre che Governo Letta e ministri riescano a proteggersi dalle intemperie politiche, annunciate già da mille burrasche, incombenti da vari fronti temporaleschi?