“Le novità le vedo su due fondamentali livelli. Il primo è cosa deve fare la scuola italiana” per gli studenti; “il secondo è come adeguare la complessa macchina dell’istruzione in due aspetti fondamentali: la funzione degli insegnanti e il processo organizzativo”.
Bisogna calare il modello che si ha in mente nella scuola dell’Italia di oggi.
La nostra scuola, dice Giannini: “ha un corpo docente anziano e diviso in due macro-settori: uno di ruolo e stabile, un altro che vive nell’incertezza ed è quella che scatena in aula. Se non si parte da questa condizione che non hanno i tedeschi, gli inglesi o i francesi si rischia di non rendere applicabile il modello che si ha in mente”.
Questo strumento, secondo la ministra, sarebbe “Una scuola che abbia gli insegnanti stabilmente sufficienti a fare tutte le attività che immaginiamo. Insegnanti che siano strutturalmente e continuativamente formati e aggiornati e che trovino nella valutazione non la punizione o il premio ma la conferma o la rivisitazione del loro lavoro. E trovino però anche un’attribuzione meritocratica di un avanzamento in carriera o di un maggiore stipendio. Quindi formazione continua e strutturale, valutazione degli insegnanti e dei dirigenti scolastici, e attribuzione di una maggiorazione stipendiale che sostituisce lo scatto di anzianità”.
Per questo, dice Giannini, “Si punterà sul nucleo di valutazione. Le università già ce l’hanno, ora lo metteremo nelle scuole. Ci riusciremo perché partiremo da un progetto educativo e non da un intervento normativo, che verrà solo dopo. E poi perché il meccanismo di valutazione sarà intimamente collegato a cambiamento strutturale della carriera dei docenti. La valutazione sarà basata su parametri professionali, per misurare quanto un insegnante coopera a processo organizzativo, sarà più propriamente didattica, perché conterà anche il fattore reputazionale, e sarà poi fondata sui crediti formativi perché valutazione e formazione devono andare di pari passo”.
Benchè poco comprendiamo il concetto di “fattore reputazionale”, che probabilmente sarà collegato alle dicerie degli untori: ragazzi e famiglie, la ministra passa poi a discrivere come sarà il prossimo esame di stato.
“La direzione di marcia è di renderlo compatibile con la scuola che i ragazzi già fanno e non con la scuola che stiamo costruendo con le linee guida. Le novità sicure sono quelle che si collegano ai nuovi indirizzi previsti dalla riforma Gelmini”.
E così la prima prova sarà “un work in progress” ma “lascerò il saggio breve. Cioè la prova di interpretazione di una serie di materiali su uno spunto tematico e la capacità di sintetizzarli in quello che un tempo avremmo chiamato un riassunto con più fonti. È un esercizio molto utile per capire l’abilità di comprensione dei testi, capacità di collegamento e capacità di sintesi. Il cosiddetto tema di storia o di letteratura è sempre meno adeguato alle scelte dello studente”.
Considerato poi, precisa la ministra, che il nostro modello di scuola punta a incrementare l’alternanza scuola lavoro e guarda molto al rapporto con il mondo produttivo e delle istituzioni culturali darei a quella prova un ruolo maggiore. Del resto la riflessione che abbiamo avviato sulle competenze degli studenti vuole rivisitare sia la didattica nelle classi, che non significa solo digitalizzazione e coding ma anche didattica interattiva, sia il rapporto tra ciò che succede in aula e ciò che accade fuori”.
Per quanto riguarda invece l’assunzione di così tanti precari, Giannini è convinta che nella nostra scuola ci sia “un patrimonio di competenze specialistiche che finora non hanno trovato uno sbocco nelle posizioni stabili di supplenza. Questi cosiddetti precari non è che erano in un congelatore e noi li mettiamo sul mercato. Quarantottomila all’anno vanno comunque in classe. È vero che non hanno formazione ma esattamente come i 600mila di ruolo”.
E poi “una volta terminato il piano di assunzioni, nella scuola si potrà entrare solo per concorso. Se non è stato fatto prima è solo perché non si è riusciti a tirare una riga con il passato”.
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