E nessun’altra giustificazione è possibile per interpretare tanto calo di partecipazione dal momento che nel 2006, quando si votò la sola giornata di domenica, si recò alle urne il 59,16: la maggioranza. Cosa potrà cambiare per la scuola siciliana? Poco. Potrebbe invece cambiare qualcosa relativamente alle scuole professionali finanziate dalla Regione che finora sono state per lo più una sorta di bacino dove attingere voti e clientele. Moltissime di esse infatti nascono anche con spirito fantasioso e obiettivi formativi inventati alla bisogna per collocare qualcuno, mentre anche gli stessi alunni sarebbero più sulla carta che sui banchi effettivi. Una vecchia questione e un vecchio pozzo profondissimo dal quale si è attinto di tutto. Ma se si intervenisse in maniera drastica, quanto sarebbe il personale che non avrebbe più una fonte di reddito, compreso l’indotto? E chi avrebbe il coraggio e la forza per manomettere ciò che è “messo” da ventenni?
E cambierà anche poco sul versante dell’edilizia scolastica, forse anche nulla, visto pure che la popolazione scolastica siciliana è in decremento e non solo perché si fanno pochi figli, ma anche perché ha ripreso piede l’emigrazione verso il nord e verso l’oltralpe. Né si capirebbe inoltre da dove la nuova giunta regionale possa prendere i fondi necessari per migliorare le tante scuole in stato di criticità, mentre sono stati trovati per pagare consulenti, folle sterminate di impiegati e funzionari, molti dei quali non sanno nemmeno dove mettere le mani, ameno quando si tratta di codici e di leggi.
E anche se a conquistare il più antico parlamento del mondo fosse un pool di politici, animati dalle migliori intenzioni e infervorarti dai più sacri principi di giustizia sociale, equità e rigore ci vorranno non meno di trent’anni per recuperare il territorio, la cultura, l’arte, l’agricoltura, l’istruzione, le città.
Per questo forse la maggioranza dei siciliani non è andata a votare, consapevole con ogni probabilità che l’intreccio è così intrecciato e ingarbugliato e il nodo così stretto e variegato che neanche un colpo di spada, o di accetta, vibrata anche da un novello Alessandro Magno riuscirebbe a spezzarlo.
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