Il Bussetti-pensiero sui problemi scolastici del Sud Italia — e sulla soluzione per superarli — è ormai arcinoto: «Ci vuole l’impegno del Sud. Vi dovete impegnare forte. Questo ci vuole!». E, al giornalista che gli chiede se servano più fondi, risponde piccato, scandendo le sillabe con una smorfia di disgusto (e andandosene subito dopo soddisfatto): «No! Impegno, lavoro, sacrificio! impegno, lavoro e sacrificio!».
Parole e toni che ricordano il «Credere, obbedire, combattere» di 80 anni fa. Ma è sicuramente una coincidenza. Anche perché il fascismo, pur con tutti i suoi indiscutibili crimini, non avrebbe mai pensato rompere l’unità nazionale tramite la regionalizzazione, che invece la Lega, tramite l’attuale governo, sta pervicacemente portando “a meta” (per usare una metafora sportiva cara Bussetti).
Già, la regionalizzazione: ovvero la realizzazione del sogno che da 40 anni le varie leghe secessioniste perseguono (a cominciare da quella che fu la Łiga Vèneta, fondata nel 1979 di fatto e nel 1980 di diritto). E tutto nell’indifferenza generale degli Italiani (che anzi, anche al Sud in buona parte votano Lega). Docenti compresi, preoccupati più per il nuovo esame di maturità e per le sparate di Bussetti che per questa nuova sciagura, la quale colpirà soprattutto loro: i docenti. E che annullerà de facto l’uguaglianza dei cittadini di fronte al diritto allo studio, nonché il dovere dello Stato di fornire a tutti un servizio scolastico efficiente, obiettivo, laico, scientificamente ed epistemologicamente valido, culturalmente emancipante.
I docenti già a tempo indeterminato dovranno ragionare ed insegnare come vuole la Regione di appartenenza, pur rimanendo formalmente dipendenti statali (ma con stipendi probabilmente più bassi nelle regioni più povere). Dirigenti, ATA e docenti neoassunti, invece, saranno dipendenti delle Regioni (dalle quali difficilmente potranno trasferirsi). E le Regioni controlleranno un po’ tutto: rapporti con le scuole private (“paritarie”) e loro finanziamento, alternanza scuola-lavoro, valutazione (tramite indicatori regionali), programmazione dell’offerta formativa, formazione dei docenti, destinazione delle risorse, programmazione della rete scolastica, definizione del fabbisogno regionale di personale e sua distribuzione tra le istituzioni scolastiche, disciplina degli organi collegiali territoriali della scuola “nel rispetto dell’autonomia scolastica”. Un domani, quindi, il dialetto emiliano o quello lombardo potrebbero diventare materia curricolare nelle Elementari, giacché l’intenzione dissimulata (male) è quella di intervenire anche sui curricoli.
Su tutto ciò, nessun dibattito pubblico, né politico. La Rai parla di Sanremo da settimane, di calcio da sempre, in Tg che paiono fotocopie. Solo le TV venete parlano della regionalizzazione e ne mettono in risalto la portata rivoluzionaria (o “involuzionaria”, secondo i punti di vista).
Vero scopo della “secessione dei ricchi” (come qualcuno l’ha ribattezzata) è trattenere nel territorio delle Regioni più opulente il 90% delle entrate fiscali; venendo meno al dovere di solidarietà verso le Regioni più povere, garantito finora dalla Costituzione (nonché dalla logica). La sperequazione che ne risulterà non è da Stato democratico, ma da compagine coloniale che si affermi su un territorio straniero conquistato. Eppure tutti sappiamo che, se l’Italia è uno dei Paesi più industrializzati del globo, lo si deve al lavoro dei lavoratori del Sud migrati al Nord. Nord che ora decide di tenersi per sé la ricchezza prodotta in un secolo e mezzo di storia unitaria.
Salute e istruzione non devono più essere uguali per tutti i cittadini italiani, ma dipendere dal reddito pro capite della Regione in cui si vive. Alla faccia dell’articolo 3 della Costituzione, secondo il quale «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» che impediscono l’effettiva uguaglianza di opportunità tra Italiani.
Il 15 febbraio il Governo dovrebbe firmare l’intesa per la “autonomia differenziata” di Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, dando l’avvio all’iter che in seguito porterebbe rapidamente la legge all’approvazione delle Camere. Diciamoci la verità: se l’iter legislativo si completasse, sarebbe il nuovo 8 settembre dello Stato italiano, la sua nuova e totale disgregazione (“morte dello Stato” secondo lo studioso Daniele Balicco). Disgregazione che persino Berlusconi, pur alleato della Lega, aveva sempre contrastato, e cui invece il Governo Gentiloni nel 2017 aveva già aperto le porte proprio firmando l’accordo preliminare per le tre Regioni di cui sopra.
E il mondo dei Sindacati scolastici cosa fa? Come intendono le maggiori organizzazioni dei lavoratori contrastare questo tsunami, al cui confronto la renziana “Buona Scuola” è un mare poco mosso?
Finora molte vibranti proteste e qualche manifestazione. L’unico Sindacato ad aver immediatamente indetto uno sciopero nazionale di 24 ore (con manifestazione a Montecitorio) è stato Unicobas Scuola & Università. Allo sciopero, indetto per mercoledì 27 febbraio, ha poi aderito anche il Sindacato Anief.
E il M5S che dice?
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