Inizio d’anno scolastico e per studenti, docenti e genitori ricomincia il “triangolo” conflittuale di cui spesso ci occupiamo nel corso dell’anno.
Da un lato gli studenti, che si trovano in fase di crescita, volubili, incostanti. Individui da istruire ed educare. Poi ci sono i docenti, carichi di lavoro, con stipendi bassi, ma che, nella maggior parte delle volte, riescono a seguire i propri alunni, a mettere passione a quello che fanno, sbagliando tante volte, ma con la consapevolezza di potersi migliorare sempre.
E poi ci sono i genitori, oggi come non mai molto vicini ai figli, molto protettivi e a volte “migliori amici”.
Ecco, per gli psicoterapeuti come Maura Manca, una blogger de L’Espresso, l’anello debole della catena (o in questo caso il lato corto del triangolo di cui sopra) sono proprio i genitori, troppo protettivi appunto ma allo stesso tempo distanti dai loro figli.
Si ergono a “sindacalisti” dei propri pargoli, puntando il dito sempre contro i docenti, se si tratta della scuola, dell’istruttore di nuoto, ecc…
“Stiamo assistendo ad un fallimento del ruolo genitoriale di massa che indirettamente grava sulla salute mentale dei figli, scrive la psicoterapeuta e blogger de L’Espresso. Se mancano i punti di riferimento i figli cresceranno senza una direzione e ci sarà chi compenserà e chi devierà”.
I problemi si riscontrerebbero sin dall’infanzia, quando i bambini “hanno bisogno di chi non fa da paracadute solo per un egoismo personale, perché si fa prima, perché è meno faticoso, perché non si ha voglia di discutere con il figlio senza capire che se lo si cresce con la consapevolezza che avrà sempre e comunque un paracadute non spiegherà mai le sue ali. Deve crescere con la consapevolezza di un legame stabile, di essere riconosciuto e accettato, di avere un porto sicuro che gli permetterà di partire, di osare, di sperimentarsi perché sa che avrà dei pilastri su cui contare”.
“Ciò che invece tristemente vedo, prosegue Manca, è che non si prende più in braccio un figlio per calmarlo, non ci si siede più con lui per farlo ragionare e capire cosa sta accadendo e di cosa ha bisogno, si dà uno smartphone, un tablet, una sorta di ciuccio digitale che serve da calmante e da ansiolitico. E’ più facile, è più rapido, i bambini vengono anestetizzati davanti agli schermi e il genitore può fare i benemeriti affari suoi in santa pace”.
Atteggiamento che poi si ripete andando avanti nel tempo e si ripercuote senza dubbio anche a scuola, quando l’insegnante agli occhi dell’alunno, non possiede quell’autorevolezza e importanza che una volta possedeva.
Anche perché, se uno studente prende una nota, c’è mamma o papà che va a scuola, col piede di guerra, a parlare con l’insegnante, sostenendo quanto il loro figlio sia sensibile e quanto studi e quindi, forse “è un po’ colpa sua se non lo capisce”.
Chiaramente non possiamo generalizzare, ma senz’altro sono tantissimi i casi segnalati di docenti che non riescono a comunicare né con gli alunni né con i loro genitori.
Il danno maggiore, ad ogni modo, è per i bambini e i ragazzi, che crescono senza veri punti di riferimento, impantanati fra un selfie e un like su Facebook.
Forse la nota bisognerebbe metterla ai genitori….
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