Non si sa quali sofisticate alchimie politiche abbiano prodotto la nomina di Renato Brunetta a ministro per la Pubblica amministrazione del governo Draghi. Certo si tratta di una figura molto controversa, che tutti ricordano per la sua campagna contro i fannulloni e gli assenteisti della P.A. e per le famose “brunettate”, che ancora riecheggiano ampiamente nel web. Esplosivo negli annunci, pirotecnico nella propaganda, Brunetta tutti lo ricordano così. Il suo nuovo ministero è pertanto un grosso punto interrogativo.
Veneziano di origine, economista e professore di economia del lavoro all’Università di Roma Tor Vergata, nella prima fase della sua vita, dedita agli studi, aspirava al Premio Nobel per l’Economia (“Ho molti amici che hanno vinto il premio Nobel e non sono molto più intelligenti di me” disse in una memorabile trasmissione televisiva). Poi però venne la politica a dirottare le sue ambizioni su altre mete. Dal 1999 è sempre stato eletto in Forza Italia, prima al parlamento europeo e poi a quello italiano.
Dal 2008 al 2011 è stato un vulcanico ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione nell’ultimo governo Berlusconi, con provvedimenti a raffica e obiettivi di cambiamenti radicali, ma per molti con risultati mediocri e parziali.
Adesso ricopre nuovamente quel ruolo nel governo Draghi e davanti si ritrova lo stesso compito immane, che neppure i suoi successori hanno portato a meritevole compimento: rinnovare, semplificare, efficientare la Pubblica Amministrazione.
La più grande amarezza della sua carriera politica è probabilmente quella di non avere mai conquistato la “sua” Venezia. Per ben due volte si è presentato come candidato sindaco, prima nelle elezioni comunali del 2000 e poi del 2010, quando era all’apice della sua popolarità di moralizzatore e innovatore, ma non è riuscito a farsi eleggere.
All’epoca del IV governo Berlusconi la P.A. era nel mirino: si doveva tagliare, ridurre posti di lavoro e risparmiare. La Legge 122/2010 introdusse ogni genere di misure restrittive, dagli organici agli emolumenti. La propaganda, del resto, tendeva anche a giustificare i tagli pesanti davanti all’opinione pubblica, dipingendo i dipendenti come assenteisti, fannulloni, inutili, privilegiati. Naturalmente c’era chi applaudiva. Le inefficienze e gli abusi del resto non sono mai mancati.
Brunetta predicò il licenziamento, la mobilità d’ufficio, la produttività, la “misurazione e valutazione della performance”. Stabilì l’obbligo di criteri meritocratici nella distribuzione delle risorse accessorie, di cui la contrattazione collettiva doveva tenere conto, pena la nullità delle clausole in contrasto con le “norme imperative”.
Introdusse la discussa “tassa sulla malattia” ed estese le fasce orarie di reperibilità da 4 a 11ore, teoricamente per colpire i furbetti del doppio lavoro.
Brunetta tentò anche di implementare misure innovative, per esempio dando un forte impulso alla digitalizzazione e alla riduzione della carta. Puntò molto sulla trasparenza introducendo l’obbligo di pubblicare sui siti Internet istituzionali tutta una serie di dati, dalle retribuzioni, ai curricula, ai tassi di assenza del personale.
Alcuni risultati, però, non è di certo riuscito a raggiungerli. Non c’è stato verso di limitare l’utilizzo delle collaborazioni esterne e delle consulenze. Così pure fallì il tentativo di soppressione degli “Enti inutili”, da cui ci si attendeva un considerevole risparmio di spesa.
Ma quale è il quadro degli organici oggi della PA? Gli impiegati pubblici sono circa 3,2 milioni. Gli addetti della Scuola risultano un terzo del totale (35,1%). Seguono il Servizio sanitario nazionale (20,1%), le Regioni e le Autonomie Locali (13,1%). Il resto comprende corpi di Polizia, Forze armate, Ministeri, Agenzie, Enti pubblici non economici, Autorità indipendenti.
La percentuale delle donne è prevalente (57 %). Nella scuola arriva al 79%. L’età media dei dipendenti pubblici è superiore a 50 anni, in progressivo aumento dovuto alle minori assunzioni e all’allungamento dell’età pensionabile. Rispetto al 2010, il personale è calato di circa 91.000 unità.
Sotto il profilo finanziario, il costo del lavoro dipendente, nell’anno di riferimento 2018, si è attestato su un valore complessivo di 165,9 miliardi, -4,7 miliardi rispetto al 2010, con una contrazione del 2,8 %. (fonte: Corte dei Conti).
Nel ministero lasciato libero dalla grillina Fabiana Dadone (ora alle Politiche giovanili) c’è da lavorare parecchio al “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, che contiene interventi importanti per la Pubblica Amministrazione, in particolare digitalizzazione e innovazione. Complessivamente, sono in ballo 11,45 miliardi,da utilizzare per il rilancio del sistema Paese e favorire la trasformazione digitale del settore pubblico, con infrastrutture moderne, interoperabili e sicure. Si punta anche sul miglioramento delle competenze digitali, la riqualificazione del capitale umano e una drastica semplificazione burocratica. Gli interventi toccano trasversalmente molti settori, dalla sanità alla scuola, dal fisco alla ricerca, dal lavoro alla cultura.
L’interrogativo che leggiamo sulla stampa e nel web è però il seguente: riuscirà Brunetta, che per i suoi detrattori alla resa dei conti fallì al tempo del governo Berlusconi, a gestire oggi una riforma di fondamentale importanza per rinnovare la P.A. e utilizzare i miliardi della UE?
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