Dice la tensione nei confronti delle tante occasioni complicate che la vita ci pone e impone. Dice, cioè, la nostra quotidianità.
E noi, per porvi rimedio, impegniamo tutto noi stessi, con strumenti e modalità di vario tipo. Materiali e immateriali.
Che cos’è la sicurezza, in fondo, se non ricerca di qualcosa che ci sia di aiuto di fronte a qualsiasi ipotetico pericolo?
Sicurezza deriva da sine-cura, cioè senza-preoccupazione.
Per cui la cura è la nostra fatica quotidiana, per ridimensionare le tante preoccupazioni, le tante tribolazioni, per dirla un po’ alla veneta.
Ma la conoscenza della vita, con l’andare degli anni, aiuta a relativizzare tante di queste paure, perché induce ad andare alle cause, da un lato, e alle conseguenze dall’altro.
L’esercizio, perciò, della libertà, tanto invocata, non è altro che diventare capaci di fare delle scelte e di assumersi delle responsabilità. Anzitutto per se stessi, ma non solo per se stessi.
Che la nostra convivenza sociale, politica, istituzionale, sia fondata dalla e sulla paura l’hanno detto in tanti, i quali, penso qui a Hobbes, ritenevano che la nascita dello Stato moderno, come istituzione, fosse legato ad un patto, ad un contratto, proprio per mettere fine al regime della paura. Il quale porta solo, poi, alla legge del più forte, cioè al si salvi chi può. Lo Stato totalitario di Hobbes, dunque, nasce per porre rimedio alla “guerra di tutti contro tutti”. Chi non ricorda l’”homo homini lupus” di scolastica memoria?
Lo Stato totalitario riconosce al solo dittatore tutta la libertà, mentre i sudditi solo l’obbedienza.
Anche lo Stato democratico, che riconosce invece pari dignità a ciascuno, prevede comunque su di sè l’egemonia della forza, attraverso la legge, per dare a tutti, appunto, pari dignità.
Il problema è che la fonte della nostra convivenza non può essere solo in negativo, cioè la paura, ma deve essere e non può non essere soprattutto in positivo. Aristotele parlava ad esempio di amicizia, cioè di solidarietà, di comunanza di tante cose.
Nel nostro mondo globalizzato il riferirsi alla paura, e ai suoi derivati, credo sia un fatto naturale. Per cui certe forme di nazionalismo erano e sono abbastanza scontate. Ma il problema è che nemmeno oggi si può vivere fondando le relazioni tra diversità sulla paura, ma sulla conoscenza, sulla comprensione reciproca. Cioè sulla reciprocità.
I regimi totalitari non ammettono proprio questo, mentre le democrazie si fondano, per metodo e sostanza, proprio su questo. Che sia faticosa questa strada lo sappiamo, ma che alternative abbiamo? Nuovi totalitarismi, come lo Stato assoluto di Hobbes o i totalitarismi del 900?
Ecco l’importanza, a partire soprattutto dal secolo scorso, del diritto internazionale, come mediazione tra eticità e moralità all’interno e tra Stati diversi, compresi quelli che hanno aderito a forme di cooperazione ed integrazione, come l’Unione Europea, che si spera possa procedere oltre l’attuazione stagnazione.
Nell’epoca, poi, delle pestilenze, come l’attuale pandemia, la paura genera tanto altro. Genera sospetti, genera logica del complotto, genera cioè pensiero negativo.
I social hanno amplificato questi timori, portando all’illusione che il sapere e la competenza siano, via internet, a disposizione di tutti, alla comprensione di tutti. Come lo slogan dell’”uno vale uno”. Mentre la vita non è così, con complessità a diversa stratificazione, che solo con lo studio, la dedizione e la ricerca possono essere resi disponibili. Cioè formazione e informazione. Mentre i social sono costretti solo a slogan, quindi alla banalizzazione.
La paura, perciò, è umana. E va aiutata a diventare comprensione, con una comunicazione rispettosa, ma non confusa e disordinata, come è avvenuto più volte in questo anno e mezzo.
Incontrare le paure, dunque, e non giudicarle. Ma fare in modo che ognuno possa intravedere una strada oltre, che dica speranza, pensiero positivo, solidarietà. Quella stessa che abbiamo toccato con mano all’inizio della pandemia, ma che poi sembra essersi vaporizzata come neve al sole.
Se poi mettiamo assieme la pandemia con le nuove disuguaglianze, la grave crisi ambientale e l’impoverimento culturale, abbiamo un mix esplosivo da nuova apocalisse che non può portare niente di buono.
Ma, lo sappiamo, domani è sempre un altro giorno.