Come ogni anno, vi è in tutte le scuole una forte querelle per i docenti non impegnati negli esami di stato, eppure “a disposizione” sino al 30 giugno. La “pausa didattica” è per gli studenti, e per i docenti?
Come è noto, un preside non può imporre nulla, che non sia stato previsto nel “piano annuale delle attività”, o che non venga votato nell’ultimo Collegio.
Il problema vero, però, è che da un lato è sempre difficile concordare cosa voglia dire “essere a disposizione”, e dall’altro è, purtroppo, altrettanto vero che è una delle forme di “conflitto di interessi” presente anche nel mondo della scuola. Vecchi retaggi corporativi: quando mai, in tutto il mondo del lavoro, le modalità, i tempi e le articolazioni del lavoro vengono decisi e votati da una assemblea degli stessi lavoratori? Tipico conflitto di interessi, eredità dell’assemblearismo oggi morto e defunto, perché nega l’essenza stessa del nostro “servizio”.
E’ ben vero che tanti, tantissimi docenti, avendo “coscienza etica” di questo conflitto, oggi insopportabile a livello sociale, si mettono concretamente a disposizione per qualche “servizio”, come sappiamo che ce ne sono altrettanti, ma non tutti, che colgono l’occasione per studi ed iniziative culturali.
Ma ci sono anche altri docenti che ne approfittano, contratto alla mano, per pretendere una sorta di “far niente”, addirittura prenotando vacanze o altro. E ti mandano una lettera dell’avvocato se un preside si permette di dire che eticamente questa cosa oggi è insostenibile, contratto o non contratto.
Queste contraddizioni, lo sappiamo, sono all’origine del giudizio non sempre positivo, a livello di percezione sociale, sul nostro mondo, non ancora disposto a sciogliere il nodo, sul piano professionale, sul profilo professionale di lavoratore semi-autonomo, non riducibile a quello di “impiegato pubblico”.
Il vecchio contratto di lavoro, che non tiene conto delle nuove dinamiche e responsabilità, in termini di “bilancio sociale”, andrebbe ridisegnato, ripensato, ristrutturato, non più in termini individualistici, come è oggi, col matematismo delle graduatorie che non rispettano le persone e le competenze e sensibilità dei lavoratori, ridotti a numeri, come non rispettano gli utenti, tanto che i ragazzi e le famiglie si ritroveranno a settembre questo o quel docente solo sulla base di un caso fortuito, non sulla scelta della “persona giusta al posto giusto”.
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Queste contraddizioni, a sfondo corporativo e conservatore, sono il vero freno al riconoscimento di merito di una professionalità che, lo sappiamo, nel concreto è poi valorizzata e stimata da parte di studenti e genitori. La gran parte dei docenti e presidi è davvero stimata e considerata. E non hanno bisogno, questi docenti e presidi, di portarsi in cartella il contratto di lavoro. Lo sanno il loro diritto-dovere.
E’ il finto egualitarismo, che disconosce valore e merito, assieme al matematismo delle graduatorie e ad un chiarimento sui tempi e modalità di questa forma di professionalità: è tutto questo che ha reso negli anni sempre più indifferenti gli altri “corpi sociali” alle giuste richieste, anche stipendiali, dei lavoratori della scuola.
Che siano i sindacati, oggi, i primi responsabili (non tutti, ma la maggior parte) di questo mancato riconoscimento sociale, ieri dato scontato, oggi tutto da conquistare? E’ paradossale, ma è proprio così.
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