Nel corso del tempo abbiamo assistito ad un progressivo calo di popolarità e di prestigio della figura formativa dell’insegnante che ha perso e continua a perdere sempre più in affidabilità e credibilità.
L’inadempienza formativa addebitata proprio a coloro che per definizione sono stati e sono formatori delle nuove generazioni ha portato alla conseguente perdita di autorevolezza culturale ed etica. Ciò ha determinato il proliferare di atteggiamenti di disprezzo e indifferenza nei confronti del lavoro fatto dagli insegnanti, considerati quasi come baby-sitter più che come formatori dei nostri figli.
C’è il rischio però che continuando così la scuola pubblica possa diventare sempre più inefficace nella sua funzione formativa ed educativa.
Nel passaggio trasformativo verso nuovi equilibri formativi e culturali le conseguenze potrebbero essere molto gravi per le nuove generazioni e per l’Italia intera.
A pensarci bene, alla base di tutto, vi è la ricerca del “quieto vivere”. Anche nella Scuola il non sapere dire di no alle richieste dell’utenza ha portato al declino della credibilità degli insegnanti. Richieste illecite, ovviamente. Richieste fatte dall’utenza che passano attraverso le “conoscenze”, gli amici e collaterali e che chiedono agli insegnanti favoritismi e discriminazioni a favore dei propri figli. Richieste che puntano verso scelte valutative dalla dubbia etica (levitazione dei voti in sede di scrutinio), e tutto per amore del “quieto vivere”.
Abbiamo bisogno di recuperare il valore della meritocrazia scolastica che non può essere dissociata da un reale corretto processo di valutazione. Gli insegnanti sono una categoria di lavoratori dalle elevate competenze e dalla grande professionalità e non possono essere relegati con mestizia a ruoli per i quali non sono stati formati.
Il decentramento delle funzioni dello Stato ha determinato nel tempo una serie di problematiche nei vari Enti statali generando notevoli disservizi. La legge sull’autonomia scolastica e le successive integrazioni, accanto ad indubbi vantaggi legati all’autonomia amministrativa ed organizzativa delle istituzioni scolastiche, ha causato una prevedibile deriva per quanto riguarda gli aspetti didattici e formativi.
In un mercato di libera concorrenza formativa la logica della conservazione del posto di lavoro vicino casa diventa prevalente, come quella dell’immagine di una scuola che ottiene il massimo successo scolastico (ma non formativo!).
Il problema che si è venuto a creare è stato quello della dequalificazione della formazione scolastica. La nostra classe politica dovrebbe ormai aver capito che decentrare la responsabilità della formazione scolastica non è un bene!
Urgono decisioni utili per recuperare la qualità della formazione scolastica e per ridare credibilità agli insegnanti! Un primo passo da fare è istituire un limite massimo al numero di nuovi iscritti allo specifico indirizzo di studi ed abbassare quello minimo necessario per mantenere la titolarità del dirigente, riducendo così il problema degli accorpamenti scolastici.
Questo servirebbe a far pensare di più, dirigenti ed insegnanti, a come gestire una vera didattica della formazione invece che a preoccuparsi di come procacciarsi l’utenza.
Se una scelta politica di questo tipo viola i criteri della spending review basta fare due semplici riflessioni.
La prima è che la formazione culturale delle nuove generazioni rappresenta il vero obiettivo economico dei nostri Governi per il prossimo futuro, se si vuole che l’Italia resti nell’ambito dei Paesi più evoluti.
La seconda riflessione è che se si tratta di fare vera spending review si cominci ad evitare gli sprechi che si fanno in tutti i settori della P.A. a cominciare dalla Scuola (banchi a rotelle, finanziamenti nazionali PON e regionali POR, corsi di formazione di ogni tipo, ecc.).
Un sacco di soldi spesi male che non sembra proprio abbiano cambiato le sorti della preparazione scolastica dei nostri alunni.
Giuseppe D’Angelo
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