Esce in questi giorni sul New York Times un articolo che sfida il mondo dell’education, non solo negli Stati Uniti, scritto dal noto David Wallace Wells, il giornalista americano reso celebre per i suoi scritti sui cambiamenti climatici. Nel 2017 ha scritto il saggio del 2017 “The Uninhabitable Earth“; il saggio è stato pubblicato a New York come articolo di lunga durata ed è stato l’articolo più letto nella storia della rivista.
Wallace Wells torna questa volta alla ribalta per riflettere insieme ai suoi lettori su un tema che sta coinvolgendo da tempo il mondo dell’istruzione, a livello globale, chiedendosi di cosa tratta in realtà il panico per la perdita di apprendimento dovuto alla pandemia?
L’opinionista di New York ammette che ci sono alcune legittime ragioni di preoccupazione. I cali dei test sono reali e significativi, riportando le prestazioni nazionali in matematica e lettura ai livelli visti l’ultima volta un paio di decenni fa e imponendo le battute d’arresto più grandi e preoccupanti agli studenti più vulnerabili. In nord America poi sono in molti a domandarsi come siano stati spesi i finanziamenti federali, che sono stati dati alle scuole a livello nazionale per contrastare la perdita di apprendimento e che in molti casi attendono ancora la distribuzione.
Tuttavia, e da qui la sfida che si pone a tutti i sistemi scolastici a quasi tre anni dall’inizio della pandemia, è davvero così grave la perdita di apprendimento? Wallace Wells scrive infatti: “il calo, tutto sommato, mi sembra relativamente piccolo, dato il contesto: una brutale pandemia che ha terrorizzato il Paese e ucciso più di un milione di cittadini, sconvolgendo quasi ogni aspetto della nostra vita lungo il percorso”.
Gli studenti statunitensi nella maggior parte degli Stati e in quasi tutti i gruppi demografici hanno subito preoccupanti battute d’arresto sia in matematica che in lettura, secondo un autorevole esame nazionale pubblicato questa settimana, che offre l’accusa più definitiva dell’impatto della pandemia su milioni di scolari.
In matematica, i risultati sono stati particolarmente devastanti, rappresentando il calo più forte mai registrato nella valutazione nazionale del progresso educativo, nota come pagella della nazione, che testa un ampio campione di alunni di quarta e terza media e risale ai primi anni ’90.
Da qui le riflessioni di Wallace Wells che si chiede se davvero si tratti di un’emergenza o piuttosto di un effetto collaterale, considerando il resto dei danni prodotti nel Paese. E soprattutto se paragonato ai livelli nazionali che c’erano già prima della pandemia, ancora più bassi. Ecco allora la domanda: si tratta di emergenza o la pandemia ha solo sollevato il velo su altre carenze?
Ricordiamo anche che le settimane di chiusura delle scuole sono state assai diverse in tutto il mondo: 56 negli USA, 37 in Italia, 34 in Germania, 30 nei Paesi Bassi, 27 nel Regno Unito, 15 in Spagna, 12 in Francia, per non parlare di aree già a rischio di povertà educativa, tra cui, per esempio, l’Africa sub sahariana, dove si trova lo Stato con il più lungo periodo di assenza dai banchi di scuola, l’Uganda con quasi due anni.
Diverse sono anche in Italia le posizioni sulla perdita di apprendimento, per cui sono in molti a sostenere che questa non può essere catalogata come un fenomeno dalla cifra prevalentemente economicistica (riduzione del PIL, flessione del reddito individuale, crescita della povertà, disfunzioni nel mercato del lavoro), deve invece misurarsi con il miglioramento dell’offerta formativa della scuola, per esempio attraverso il tutoring individuale, metodologie più flessibili, rinnovati ambienti di apprendimento. Ma vanno anche tenuti presenti gli assetti e anche la valorizzazione del tempo pedagogico, con ritmi distesi di studio, orari scolastici sostenibili e la valorizzazione del patrimonio educativo-didattico del docente, delle traiettorie innovative come il digitale.
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