In Rete non si è mai soli. Siamo “osservati” e letti anche a nostra insaputa e attraverso la procedura della condivisione, perdiamo in pochi istanti il controllo di quello che postiamo. E questo per sempre, anche se un’ autorità intervenisse ad eliminare il nostro post dai server, o a rimuoverlo dai profili.
Chi sono questi sprovveduti? Soprattutto i cosiddetti “nativi digitali”. I nostri ragazzi presentati come esperti del Web, solo perché conoscono qualche procedura o programma in più degli adulti, definiti come “immigrati digitali”. Il “nativo digitale” infatti, deve fare i conti con il momento della sua vita. Questo è sicuramente una grande opportunità per “mettere le radici” su un terreno solido, ma può rappresentare un problema se diventano punti di riferimento il narcisismo, l’inconsapevolezza delle regole, il desiderio di infrangerle per il bisogno di caratterizzare il proprio io, senza pensare agli effetti devastanti sulle persone coinvolte… E tutto questo non rientra tra le competenze tecnico-informatiche, ma fanno riferimento a personalità “liquide”, cioè lontane dalla presunta “solidità” dell’adulto, basata su un sistema di valori mediamente certo.
E qui entra in gioco la famiglia e la scuola. La formazione della persona non può più prescindere dalla navigazione nel Web. Diversamente si rischia, nella migliore delle ipotesi, di promuovere personalità a doppio binario, ambivalenti. Corrette e rispettose nella vita reale, di segno opposto invece, quando sono davanti al pc o usano altri dispositivi. Occorrono percorsi formativi che educhino ”i nativi digitali” al rispetto delle persone, anche quando queste perdono la loro fisicità nel Web che non si identifica solo con un corpo generico ma si declina nell’assenza della voce, delle sue inflessioni emotive e affettive, della prossimità che ci fa percepire i suoi odori, i suoi tremori…
Ovviamente per conseguire questo risultato occorre conoscere il profilo del nativo digitale, caratterizzato da scarsa e prolungata attenzione, solitudine, atteggiamento bivalente verso la dimensione corporea, “liquidità” dei rapporti amicali. Questo impegno porta con sé la necessità di aggiornare la propria “rete concettuale”, le proprie mappe, in quanto gli sfondi e i contesti di qualche anno fa non esistono più. Da qui la domanda: la famiglia e la scuola sono disponibili a lasciare gli sfondi consolidati per il mare aperto dell’attuale contesto tecnologico e dei servizi 2.0 dal quale il ragazzo riceve tanta formazione implicita, finalizzata però alla promozione di un consumatore, dove l’apparire è sostanza e l’essere invece è un accessorio non rilevante?
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