I lettori ci scrivono

La politica degli ultimi anni ha voluto una scolarità senza senso critico

Scuola e università sono in pericolo da tempo. Ormai è un evidente caso di studio della stupidità della politica. O della sua furbizia.

La retorica liberale e progressista senza senso del mondo liquido è la mentalità che si è inserita anche nel nostro sistema educativo in diverse forme nell’intero sistema formativo, scuola e università.

Non da oggi, la pubblica istruzione è stata progressivamente definanziata alimentando il precariato della docenza, nonostante la normativa europea non lo consenta (ma siamo europei fino a dove ci fa comodo), creando classi pollaio e mantenendo le infrastrutture ai limiti dell’agibilità alla faccia di L. 626 e d.lg 81.

Sul piano “pedagogico” si è assistito al peggio del peggio in nome di un riformismo completamente acefalo che nel nome della “modernizzazione” (quale?) ha introdotto procedure didattiche cervellotiche (“scuola delle competenze”) e processi farlocchi di “misurazione della qualità”, proprio con l’illusione di dare una veste apparentemente “scientifica” alla valutazione.

Sia la scuola che l’università pubblica sono state riempite di assurdi parametri esterni, di processi premiali, di progetti con nomi sempre più strani, di attestazioni burocratiche che sono divenute l’oggetto primario di attenzione di quanti fanno ricerca o di chi insegna a scapito dello studio e dell’ insegnamento.

Quante energie e risorse sono impiegate in questo film scadente e fasullo che genera solo una nevrosi fine a sé stessa perché bisogna darsi da fare a colpi di “progetti innovativi” spesso inutili, per una fantomatica “internazionalizzazione” spesso di facciata, produrre una “didattica smart”, guardare a “nuove tecnologie” (parola d’ordine di Bianchi) e modernizzazioni che lasciano i docenti con forze sempre più limitate da dedicare all’attività formativa? È più di venti anni che scuola e università sono concentrate a soddisfare criteri e parametri estranei al vero lavoro da cui, ahimè, dipendono finanziamenti e riconoscimenti.

Nel nome della “modernizzazione”, dunque, scuola e università sono concepite come meccanismi di trasmissione di idee alla moda, di imperativi ideologici come europeismo, ambientalismo classista, inclusione (quale?), “ideologia gender” e così via. Mentre come dovrebbe essere ovvio il primo compito di una formazione pubblica dovrebbe essere quello di fornire strumenti e stimoli culturali per rendere ciascuna mente autonoma e non che qualcuno esca “con le idee giuste”, ovvero le idee delle classi dirigenti.

E queste classi dirigenti producono sempre più intorno alla scuola e alla ricerca una esigenza distorta atta solo a “rispondere alle esigenze del mondo della produzione”, per questo motivo la scuola è stata spinta a semplificare quel che resta dei programmi nelle loro componenti tradizionali e orientarli verso una falsa concretezza (appunto la didattica per competenze, l’alternanza scuola-lavoro, ecc.) che conduce a una sempre minore consapevolezza di sé stessi e ad accettare rassegnati la propria collocazione sociale (Bourdieu docet) come puri ingranaggi di un sistema immobile.

Il risultato di questa retorica “modernizzatrice” è stato il degrado costante dell’istruzione terziaria, il suo collasso totale verso la più completa ignoranza. L’obiettivo della politica non è più creare una cittadinanza consapevole e autonoma ma, al più, la creazione di ingranaggi umani semplicemente funzionali al sistema. La retorica che è stata costruita spaccia senza pudore per “concretezza” un addestramento spicciolo e acefalo atto a occupare un posto predeterminato, e contestualmente spaccia per “qualifica scientifica” la spendibilità settoriale in processi produttivi predefiniti.

Promosse entrambe nel nome delle necessità del mondo del lavoro, esse falliscono sistematicamente questo obiettivo perché le particolari competenze lavorative necessarie, per esempio, mutano con estrema rapidità, più di quanto qualunque programma scolastico possa registrare o qualunque corpo docente possa riprodurre ai suoi studenti.

È ovvio che l’idea che dalla scuola o dall’università possano uscire “prodotti finiti” da inserire all’interno di un sistema produttivo, che è anch’esso in mutamento costante, rappresenta solo un’illusione fatale che danneggia la formazione di base (dunque la coscienza critica) senza essere in grado di produrre nessun vantaggio al mondo del lavoro. Semplice mi pare.

Il risultato di questo sguardo apparentemente rivolto alla concretezza utilitaristica è solo quello di creare una scolarità dotata di basso senso critico, produrre soggetti disorientati nel mondo con una consapevolezza impoverita sia di sé stessi che del mondo circostante, mentalmente orientati forse anche rassegnati a occupare quel posto provvisorio che verrà loro assegnato attraverso precariato e bassi salari perché ognuno di noi è solo una soluzione biografica a problemi strutturali.

Questo è il sistema d’istruzione che si è preparato in questi venti anni. Un po’ prima del baratro saremo in grado di fermarci?

Ferdinando Sabatino

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