E poi continua, nel commentare il XV Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati, dicendo che la recessione non può essere un alibi: “L’Italia investe pochissimo sull’istruzione. E lo studio sarebbe l’ultima cosa da tagliare, soprattutto in un periodo in crisi”. “Quando il raccolto va male il contadino risparmia su tutto, ma non sulla semina”.
Tuttavia, dice Cemmelli, “studiare conviene sempre. I laureati hanno una probabilità di occupazione superiore del 12 per cento rispetto ai diplomati, insieme a salari a più alti. La disoccupazione cresce anche per loro, ma meno degli altri. Senza contare che – dopo le difficoltà di inserimento – nell’arco dell’intera vita lavorativa la laurea garantisce una posizione migliore, con retribuzioni superiori del 50 per l’anno.”
Anche se, aggiunge Cammelli, “le stime sulle assunzioni restano deboli. La propensione delle aziende ad assumere laureati è stata del 14,5 per cento nel 2012 (dati Unioncamere-Excelsior). Non è lo stesso per tutte le imprese: le piccole prendono pochissimi laureati, che crescono nelle realtà più grandi. Non a caso, sono le aziende ad alta innovazione che chiamano lavoratori con elevato titolo di studio.” Un aspetto significativo riguarda il fatto che “in Italia i manager laureati sono il 15 per cento del totale, contro il 44 per cento della media della Ue-27. Al contrario i dirigenti che hanno fatto solo la scuola dell’obbligo sono trentasette su cento, contro i sedici della media europea. La scarsa formazione dei nostri imprenditori è una questione reale: la stragrande maggioranza dei dirigenti ha un titolo di studio inferiore alla laurea, soprattutto nel tessuto produttivo italiano dominato da piccole e medie imprese. Così si innesca un effetto a catena: è difficile che un datore di lavoro senza laurea assuma laureati. E si annullano i possibili vantaggi di avere laureati, come, per esempio, il contributo di internazionalizzazione attraverso la conoscenza delle lingue.” Importante è comunque, dice il direttore di Almalaurea, frequentare stage che sono fondamentali per trovare lavoro. “Lo dicono i numeri: chi lo mette in curriculum ha il 12 per cento di possibilità in più di trovare lavoro rispetto agli altri, a parità di condizioni. Per stage, ovviamente, non intendo stare in azienda davanti a una fotocopiatrice, ma iniziare ad imparare un lavoro di qualità. L’esperienza collaborativa durante gli studi è talmente importante che va resa obbligatoria.”
Ma per rilanciare l’università, avverte Cammelli “la politica deve puntare di più sull’istruzione, attualmente il Paese investe nella ricerca poco più dell’1 per cento del Pil. Oggi su cento ragazzi di diciannove anni solo trenta si iscrivono all’università, ovvero settanta potenziali laureati vengono persi per strada. E’ una questione di selezione di classe: le famiglie meno abbienti sono costrette a rinunciare a far studiare i figli. Da una parte il calo delle iscrizioni rispecchia il calo demografico, dall’altra è proprio una questione di povertà. Per questo bisogna investire subito.”
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