Cent’anni, ma non li dimostra. Anzi, nell’era del digitale può costituire l’antidoto alla dipendenza dalle nuove tecnologie (e all’uso manipolatorio che alcune multinazionali possono farne). È la radio: vecchio arnese secondo alcuni, àncora di salvezza per molti altri, che la stanno riscoprendo come mezzo per riavvicinare all’ascolto, al pensiero sequenziale e logico, e di conseguenza al recupero di tutte quelle facoltà cognitive che pare ormai raro riscontrare tra gli adolescenti in età scolare.
La differenza tra la preparazione culturale dei giovanissimi d’oggi e quelli di mezzo secolo fa non è data solo dall’oblio dei libri, dalla scarsa consuetudine con testi e concetti impegnativi, dal chiudersi in se stessi e dal comunicare solo attraverso i device. Ciò che veramente differenzia l’attuale generazione dalle precedenti sono — spesso, anche se non sempre — i genitori. Genitori che non parlano più con i figli, che mettono nelle loro mani il cellulare fin da piccolissimi per tenerli buoni e mansueti, che ignorano dove passino le loro nottate (salvo geolocalizzarli mediante applicazioni di monitoraggio parentale); che fanno i compiti al posto loro; che li difendono a spada tratta dai docenti qualunque sia la marachella commessa o l’insuccesso scolastico raggiunto. Genitori che però non hanno mai narrato né letto loro una fiaba; che li hanno lasciati soli davanti a spettacoli TV diseducativi, inquietanti, violenti; che non si sono accorti delle regolari visite riservate dai propri pargoli di sette-otto anni a siti porno e sozzerie consimili.
Da anni medici e psicologi denunciano questa deriva, sempre più evidente e incontenibile.
Come possono esser cresciuti ragazzi e ragazze così sventurati? Nella migliore delle ipotesi non conoscono il passato remoto dei verbi e ignorano parole che 50 anni fa il sedicenne medio comprendeva ed usava; il che li rende — confessiamocelo — meno intelligenti (cioè meno capaci di comprendere, di interessarsi dei problemi circostanti, di ascoltare, parlare, leggere e scrivere!) di quel medio sedicenne d’un tempo. Nella peggiore delle ipotesi… non c’è limite al peggio.
Come uscirne? La radio, dicevamo, può costituire un contravveleno. Purché sia radio di buona qualità, ovviamente: ossia non orientata unicamente alla vendita di spazi pubblicitari e al profitto.
La radio pubblica (insieme a poche radio private) risponde a questi requisiti, e lo fa appunto da un secolo. Il 6 ottobre 2024 ricorrerà l’anniversario della prima trasmissione radiofonica pubblica italiana. Da 100 anni la radio pubblica accompagna e contribuisce a fare la storia d’Italia (e non solo). Per celebrare l’evento, RAI Radio1 ha già mandato in onda due serie (2023 e 2024) della trasmissione Cento, un secolo di Radio, le cui puntate (tutte reperibili sul portale RAI Play Sound) permettono di ascoltare il racconto “dal vivo” di molti eventi storici che la radio ha documentato in questi ultimi cento anni. Dalla morte di Enrico Berlinguer all’abdicazione di Edoardo VIII di’Inghilterra, dalla cacciata di Lama dall’università di Roma nel 1977 al Maggio francese del 1968, da Guglielmo Marconi ai primi Presidenti della Repubblica italiana.
A parte queste autentiche perle di documentazione storica, la radio può comunque rappresentare un grimaldello per scardinare l’isolamento dei giovanissimi dalla realtà. Il buon insegnante, che riuscisse a invogliare anche un solo studente all’ascolto di programmi radio intelligenti e dei relativi podcast, otterrebbe molti ottimi risultati per il progresso dello studente in questione.
Primo fra tutti, la ritrovata capacità di ascoltare discorsi logici, basati su fatti concreti, originati da un pensiero coerente ed ispirati da idee non convenzionali (e di farlo, per di più, mentre ci si dedica ad altro). Secondo, l’arricchimento del lessico. Terzo, il rinato interesse per la lettura, che può nascere dal rinnovato desiderio di approfondire autonomamente argomenti, ascoltati magari per la prima volta in radio. Quarto, la rinascita del pensiero autonomo e della capacità di esprimerlo.
Non solo: la radio può persino far rinascere un interesse autentico per la letteratura come strumento per comprendere se stessi. La trasmissione radiofonica Ad alta voce, di RAI RadioTre, ha dato a tutti la possibilità di ascoltare su RAI Play Sound i più grandi capolavori della letteratura mondiale: da 16 ottobre 1943 di Giacomo Debenedetti a I dieci giorni che sconvolsero il mondo di John Reed; da Amatissima di Toni Morrison a Andai, dentro la notte illuminata di Giancarlo Liviano D’Arcangelo; dai Racconti di Katherine Mansfield a I ragazzi della Via Pal di Ferenc Molnár.
Simili capolavori sono letti da grandissimi attori di teatro (del calibro di Paola Pitagora, Michele Di Mauro, Valter Malosti, Paolo Pierobon, Omero Antonutti, Sandro Lombardi), ed accompagnati da ottime e pertinenti scelte musicali.
La riscoperta della letteratura attraverso la radio può condurre a quell’educazione sentimentale di cui tanto si parla (talora a sproposito) come uno dei compiti della Scuola: con effetti positivi imprevedibili, dirompenti e contagiosi tra i giovanissimi. E, se è vero che insegnare è accender l’animo del discente, ciò può regalare al docente grandi soddisfazioni. Con ricadute positive sulla società intera, come abbiamo già scritto in passato.
Buon anno scolastico a tutte e a tutti coloro che dedicano la propria vita all’insegnamento in questo amato, ingrato e inselvatichito Paese.
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