I fatti di Caivano hanno lasciato sgomenti tutti. In mezzo alla tragedia, ad aprire un varco di luce è stata Eugenia Carfora, definita “la preside coraggio”, da 16 anni dirigente scolastica in una scuola della difficile zona, che da anni conduce la sua battaglia contro la dispersione scolastica e a fianco dei giovani del quartiere.
Carfora racconta Rainews.it come è iniziata la sua lotta, andando anche contro tutti: “Quando sono scesa la prima volta nelle case a prendere i ragazzi che non si erano presentati a scuola di sabato, i primi a essere arrabbiati furono gli insegnanti che volevano andarsene. A me venne fuori una forza, un coraggio che da allora non mi hanno più abbandonato. Ho capito che le famiglie qui spesso non hanno la struttura per capire quanto è importante la scuola, ma anche che qui la malattia più grave è l’indifferenza e io devo continuare a fare la mia parte”.
E sul ruolo del docente: “Ci vuole un cuore che batte per fare l’insegnante, ma siamo una categoria bistrattata. Deve valere la pena fare l’insegnante perché è l’unica categoria che può permettere al Paese di crescere, di produrre matematici, avvocati, letterati. Bisogna perciò farla diventare la professione più ambita. Il nostro è un mestiere che deve nascere sì da una passione, ma deve cambiare il metodo di reclutamento dei docenti. Non basta un concorso, ci vuole formazione adeguata, valorizzazione anche economica. Non posso vedere che nelle classi arrivano supplenti di 50 anni che hanno ripiegato sull’insegnamento come piano B. Solo un docente appassionato, autorevole, coraggioso può riuscire a catturare i ragazzi in luoghi difficili come il nostro, per dirottarli verso la legalità”.
La dirigente ha le idee chiare su come procedere per accorciare le distanze emotive tra scuola e periferia: “Non è facile essere sempre descritti come ‘luogo del degrado’, si finisce per crederci, soprattutto i ragazzi. Se la scuola non è forte, quando tornano a casa e vedono una madre distrutta, che non partecipa non chiede, i ragazzi mollano. Dove comandano le mafie, dove le piazze di spaccio regolano la vita nei palazzi e nelle famiglie, ogni minuto in più passato a scuola è un minuto sottratto ai cattivi esempi, ai ricatti dei boss o dei malavitosi”.
“Fare tanti progetti singoli – continua – non serve. Ci vuole un percorso lungo, coeso che metta insieme i migliori pedagogisti, che coinvolga gli amministratori, che sia diretto non solo ai ragazzi, ma anche i loro genitori. Le periferie devono essere tutelate e finanziate con una legislazione ad hoc, frequentate solo da professori eccellenti, di quelli che fanno innamorare allo studio educando ai sentimenti”.
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