La dirigente scolastica dell’ Istituto comprensivo “G. Verdi” di Palermo, prof Valeria Mendola, a seguito di un nostro articolo, nel quale riportavamo il parere di Salvatore Nocera, già vice presidente di Federazione italiana per il superamento dell’handicap, nel quale si auspicava la separazione delle carriere tra docenti “disciplinari” e di sostegno, ci fa sapere la sua opinione che appare del tutto opposta.
Ecco il suo intervento:
La separazione delle carriere tra docente curricolare e docente di sostegno sarebbe il più grande errore dopo l’invenzione della definizione ”di sostegno” per definire un docente specializzato.
La legge n.517 del 1977 con l’art. 2 ha introdotto ‘forme di integrazione’ con l’intervento di insegnanti definiti ‘’specializzati’’, mentre la definizione ‘’di sostegno’’ si è diffusa per la necessità dei docenti di classe di fare distinzioni tra il docente di posto comune, tradizionalmente legato alla sedia della cattedra, e gli ‘’altri’’.
In realtà l’art. 2 di quella legge ha comportato una riforma profonda della mentalità scolastica tradizionale con un’ottica dirompente che è stata a lungo osteggiata nel suo cammino dai pregiudizi sull’handicap, dalle convinzioni limitanti sull’integrazione e anche, mi dispiace dirlo, sul proprio ruolo di docente della Scuola Italiana che spesso ha fatto emergere idee profondamente sbagliate sui compiti che spettano o meno ad un docente. La riflessione si è protratta fino a quando con l’introduzione del concetto di ‘’relazione d’aiuto’’ non si è compreso che il docente non è solo una persona che possiede un sapere ma soprattutto è una persona che aiuta gli alunni nel loro percorso di apprendimento. La relazione d’aiuto fa pertanto parte della funzione docente.
L’inserimento dell’insegnante di sostegno ha pertanto introdotto alcuni principi che all’epoca furono sconvolgenti per la didattica tradizionale:
Il linguaggio, poi, ha sottolineato la difficoltà della nuova mentalità ad attecchire e, infatti, fu subito inventata la dicitura ‘’docente di sostegno’’ proprio per testimoniare il tentativo di delega e il rifiuto dell’idea di condivisione delle responsabilità.
Diverse le lotte silenziose che sono state fatte dagli insegnanti specializzati per condurre l’attività di integrazione: da quella per trovare una propria definizione di ruolo in classe a quella squisitamente pragmatica: dove mi colloco nello spazio classe per lavorare se l’unica cattedra sta a indicare che c’è un solo docente? E dove firmo se nel registro non è previsto? E molti insegnanti di classe presentavano agli alunni l’insegnante ‘di sostegno’ non come un collega ma col nome di battesimo per ribadire che l’insegnante è uno solo (‘’bambini, vi presento Maria la maestra di Giocomino, prego Maria siediti accanto a Giacomino’’). Per non parlare degli inviti a uscire in corridoio per continuare l’attività didattica o delle gelosie sulle proprie programmazioni. Sono esperienze di lavoro ‘’ai margini’’ che tutti i docenti ‘di sostegno’ conoscono benissimo. E potrei continuare descrivendo comportamenti che non sono interessanti perché costituiscono un insulto ma perché rivelano la difficoltà incontrata dall’integrazione e il lavoro svolto dagli insegnanti di sostegno in questi anni in cui la scuola italiana è stata trasformata.
La rivoluzione silenziosa degli insegnanti ‘’di sostegno’’ ha riguardato anche la questione delle supplenze: quando non sono stati considerati ‘’delegati speciali’’ sono stati utilizzati in sostituzione degli assenti in quanto riscoperti improvvisamente docenti alla pari. Anche qui la lotta silenziosa ha portato alla luce il principio per cui se l’alunno con disabilità è presente e l’insegnante sta attuando le attività programmate, l’insegnante di sostegno non deve andare a sostituire perché si lede un diritto dell’alunno. Il risultato fruttuoso di questa rivoluzione silenziosa è dovuto al ruolo particolare: si tratta di un ruolo che nasce ai margini per portare al centro dell’interesse di tutti. E la chiave di tutto è l’interscambiabilità dei ruoli, cioè la contitolarità che permette di lavorare sulla classe e non su un solo alunno, e di cambiare una comunità intera senza tener conto delle ristrette pareti di un’aula.
Come si vede, la continuità didattica è un obiettivo che gli insegnanti di sostegno hanno sempre perseguito come interesse principale attinente al loro ruolo anche quando le risorse per le sostituzioni hanno iniziato a scarseggiare (abolizione dei moduli, spending review etc).
Oggi, alcuni vorrebbero sostenere la separazione delle carriere tra docente di posto comune e di sostegno ai fini della continuità educativa e didattica: cioè bloccare il docente sul sostegno negandogli la possibilità di passare al ruolo comune.
Oltre alla tutela dei diritti dell’alunno c’è anche la questione della tutela dei diritti dell’insegnante ‘di sostegno’ in quanto lavoratore.Non si può’ negare ad un docente un DIRITTO di passaggio dal ruolo del sostegno al posto comune.
La docenza in generale è un lavoro che, a lungo andare, può risultare usurante, e lo è ancor di più la docenza di sostegno e spiego perchè: non si tratta solo di un’USURA dovuta allo stress tutto particolare di una comunicazione che si deve costantemente adeguare al tipo di disabilità dei bambini (es.:deficit cognitivo, comunicazione psicotica etc) o dai problemi comportamentali continui nel tempo (es.:contenimento emotivo, corse per evitare che si facciano male), si tratta anche di affrontare una posizione lavorativa che nasce costituzionalmente AI MARGINI all’interno del sistema come già detto).
La separazione delle carriere, poi, è inconciliabile con la CONTITOLARiTA’ della classe: ciò significa che il docente di sostegno non sarebbe più insegnante di una classe intera ma solo di un alunno e questo chiaramente è una diminuzione inaccettabile della figura professionale. Il ”sostegno” perderebbe la FUNZIONE DOCENTE, non avrebbe diritto a fare il concorso a Dirigente Scolastico, con evidenti lesioni dei propri diritti.
infine, il docente diventerebbe ben presto un assistente, gli altri alunni non lo vedrebbero come un adulto di riferimento e perderebbe la funzione di COLLEGAMENTO tra questi e l’alunno con disabilità. Diciamo di voler integrare e includere e invece separiamo le carriere dei docenti. Questa spasmodica ricerca di una distinzione di ruoli non porta verso l’integrazione che è la direzione seguita sino ad oggi. Si otterrebbe la ‘disintegrazione’ al posto dell’inclusione.
La continuità didattica è in realtà minata da altri elementi quali l’abuso delle deroghe che dà una forte insanabilità a tutto il sistema: è lì che bisogna intervenire al più presto. E per invogliare alla permanenza nel ruolo, piuttosto che la separazione della carriere, sarebbe opportuno pensare ad un sistema di incentivi.
Quello del docente specializzato è un lavoro che si sceglie non è un lavoro cui si può obbligare per le evidenti ripercussioni che questo ha sulle relazioni umane.
E’ comprensibile che dietro l’idea della separazione delle carriere ci sia l’intenzione di dare continuità agli alunni ma quando la cura è peggiore della malattia sarebbe meglio evitarla: In conclusione, con la separazione delle carriere chi dovrebbe essere risorsa per l’integrazione diverrebbe una figura relegata ai margini del sistema e senza risorse (contitolarità e interscambiabilità dei ruoli) immaginiamo tutti l’efficacia e la congruenza della scelta.
Valeria Mendola
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