Il breve racconto dello scrittore uruguayano Mario Benedetti è tratto da un volumetto destinato a studenti di lingua madre francese, inglese e tedesca che vogliono imparare lo spagnolo. Alla fine del racconto si chiede agli studenti di discutere sui modi di comunicare tra animali e uomini e di sostenere o confutare l’uso di una sola lingua come veicolo di comunicazione fra tutti gli umani. La mia traduzione in italiano è migliorabile ma spero che non tradisca il pensiero dell’autore. L’uomo che imparò ad abbaiare.
Ciò che è certo è che furono anni di arduo e costante studio con momenti di scoraggiamento durante i quali fu sul punto di desistere. Ma alla fine trionfò la perseveranza e Raimondo imparò ad abbaiare. Non ad imitare latrati, come sono soliti fare alcuni simpaticoni o che si credono tali, ma veramente ad abbaiare.
Che cosa lo aveva spinto a questo esercizio? Con i suoi amici si autocommiserava allegramente: “La verità è che abbaio per non piangere”. Senza dubbio, la ragione più valida era il suo amore quasi francescano verso i suoi fratelli cani. Amore è comunicazione. Come amare senza comunicare? Per Raimondo fu un giorno di gloria quando il suo latrare fu finalmente compreso da Leo, il suo fratello cane, e, cosa più straordinaria, egli capì l’abbaiare del cane.
A partire da quel giorno, Raimondo e Leo si distendevano, in generale verso sera, sotto il pergolato e conversavano su vari argomenti. Nonostante il suo amore per i fratelli cani, Raimondo mai aveva immaginato che Leo avesse una tanto sagace visione del mondo. Infine, una sera prese coraggio a chiedergli, con vari sobri latrati: “Dimmi, Leo, con tutta franchezza, cosa pensi del mio modo di abbaiare?” La risposta fu schietta e sincera: “Io direi che lo fai abbastanza bene, ma dovrai migliorare. Quando abbai, ancora si nota l’accento umano”.