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La “priorità alle scuole paritarie” è attribuita dal Corriere, non dal ministro Bussetti

Stando al titolo del Corriere dell’11 giugno, il ministro Bussetti avrebbe attribuito “priorità alle scuole paritarie”. Nell’articolo possiamo leggere tra virgolette «Un tema che va sicuramente affrontato e che affronteremo. Dobbiamo capire perché molte di queste scuole chiudono», quindi nessuna priorità, ma solo uno dei «punti sui quali si concentrerà l’azione di governo»: il titolo perciò potrebbe essere solo una svista, un errore, un richiamo, un’esortazione redazionale. Pacifico che il ministro si occupi di anche scuole paritarie, ma non in via prioritaria e a scapito delle questioni e dei problemi delle scuole statali. Salvo errori, omissioni e …. Cavalli di Troia.

Il ministro dice che si propone di «capire perché molte di queste scuole chiudono», conviene perciò aiutarlo con informazioni veritiere e fondate.

Va notato che circolano sì notizie allarmistiche esagerate sulle chiusure delle scuole private, ma sono strumentali, interessate e incomplete come verrà precisato e documentato più avanti.

Intanto cominciamo col dire che le paritarie sono in buona salute e hanno diversi punti a loro vantaggio rispetto alle scuole pubbliche statali o comunali: non si hanno notizie di crolli di solai o controsoffitti; non risultano aggressioni a docenti o presidi; non ci sono proteste di studenti o di docenti; le ripetenze risultano inferiori all’1%; non esistono classi-pollaio, la media alunni per classe è inferiore a 21; non risultano carenze di carta igienica e sapone nei servizi igienici; gli studenti possono effettuare tranquillamente l’ASL presso diocesi, parrocchie, altre strutture religiose (senza rischi di perdere qualche falange …. ); inoltre nei mesi di vacanza scolastica 8 mila parrocchie – su 26 mila – coinvolgono, in varie attività presso gli oratori estivi, ben due milioni di bambini e ragazzi, assistiti da 350 mila adolescenti (scout, lupetti cresciuti, cresimandi, anche catechiste, ….) che si prestano come animatori volontari (così riferisce Lorenzo Rosolisull’Avvenire di lunedì 11 giugno 2018).

Certo qualche scuola paritarie chiude, ma le chiusure sono fisiologiche e perfettamente in linea con le chiusure delle scuole statali. Le chiusure delle paritarie vengono enfatizzate e drammatizzate sui media cattolici per motivi promozionali e propagandistici finalizzati a supportare (in modo però maldestro, furbastro e anche un po’ ipocrita e isterico: scrivono “morsa della crisi”, “crisi inarrestabile”, “paritarie a rischio estinzione”, indicano il n. di scuole chiuse ma non il n. di alunni persi, mai le percentuali rispetto alle scuole statali) le richieste di finanziamenti statali (ovvero parità economica completa / i 6 mld calcolati dall’Agesc nel 2007) a dispetto del disposto costituzionale di cui all’art. 33, 3° comma. Va notato che la Costituzione vigente non è un’ideologia, chi la richiama non può essere intimorito o tacciato di ideologismo.

Ancora tre osservazioni, tutte ricavate da siti cattolici. La prima è che le scuole private paritarie cattoliche sono di dimensioni mediamente inferiori rispetto alle statali: hanno un rapporto medio alunni/scuola pari ad appena 73,5 e quelle dell’infanzia addirittura 60,4 cioè tre classi da 20 alunni fanno una scuola. La seconda osservazione è che in percentuale gli alunni delle paritarie risultano pari a circa l’’11,2% (con le statali all’88,8%) ovvero poco meno di un milione sostanzialmente stabile nell’ultimo decennio. La terza osservazione è che, essendo le paritarie concentrate, per il 60,2%. nei tre anni dell’infanzia, risentono prima (circa 6,5 anni prima) del calo demografico in atto.

Questi dati, insieme a molti altri interessanti, si trovano riassunti nelle 6 pagine del rapporto “La scuola cattolica in cifre / a.s. 2016/2017” al cura del CSSC (Centro Studi Scuola Cattolica).

Un aspetto che il “gruppo di pressione pro-paritarie” non considera è il fatto che molte scuole paritarie dell’infanzia non vengono scelte perché preferite alle statali, ma perché le famiglie sono costrette a ricorrere ad esse a causa dell’insufficienza o della assenza delle scuole statali. Infatti risulta non attuata la Costituzione che stabilisce: “La Repubblica …. istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi” (sempre l’art. 33, ma al 2° comma). Le famiglie potrebbero perciò tentare una class action per chiedere allo Stato i dovuti rimborsi o indennizzi delle rette pagate, ma finora non l’hanno fatto, né ovviamente ai gestori della paritarie ciò interessa perché lo Stato verrebbe costretto ad attrezzarsi con sue scuole alternative alle paritarie.

Perciò il problema, dal punto di vista statale, è duplice: da una parte alunni e famiglie che avrebbero diritto a poter scegliere una scuola statale e ne sono impediti per la mancata attuazione del citato 2° comma (in cifre sono 368.356 alunni iscritti a 6.101 scuole private / ripartiti in 3 anni); dall’altra alunni e famiglie, che hanno scelto liberamente, avendone disponibilità economica, le scuole paritarie (sono 243.272 alunni iscritti a 2.221 scuole private / ripartiti in 13 anni), e che vorrebbero aggirare il 3° comma dell’articolo 33 e avere la “libertà di scelta educativa” a carico dello Stato.

È una questione, che il nuovo ministro dovrebbe già ben conoscere, quella dell’escamotage (il termine è di Andrea Gavosto / FGA) messo in atto e coltivato dalle paritarie nei 5 anni della scorsa XVII legislatura per aggirare il “senza oneri per lo Stato” costituzionale, si tratta c.d. “costo standard” per alunno o, in altre parole, una quota capitaria, o buono-scuola, o voucher da assegnare alle famiglie e poi da queste alle scuole scelte, statali o private. Insomma una triangolazione Stato-Famiglie-Scuole per beffare la Costituzione, che complicherebbe la gestione delle scuole statali. Questa proposta venne avanzata con l’esca di un risparmio fantastico e impossibile per lo Stato (addirittura 17 miliardi di euro nel primo lancio, poi ridimensionato fin quasi a zero, posticipato nel tempo e condizionato al buon funzionamento della proposta, insomma una scommessa!). Ebbene questa iniziativa azzardata stava quai per concretizzarsi nell’atmosfera già elettorale degli ultimi mesi del 2017, quando la ministra Fedeli l’ha opportunamente instradata sul binario morto del “Gruppo di lavoro sul costo standard dell’alunno” (D.M. 917/22.11.2017) presieduto dall’ex ministro Luigi Berlinguer. Nulla si è più saputo dopo la prima riunione del 20 dicembre.

A sostenere le rivendicazioni per la c.d. parità economica completa non sono tanto le famiglie degli alunni, per le quali la situazione attuale è sostanzialmente accettata oppure non modificabile in tempi utili per loro, quanto i gestori delle paritarie, la gerarchia cattolica: parroci, vescovi, fino ai vertici Cei. I motivi sono di carattere economico, di immagine, di catechesi capillare e a carico dello Stato ed altri ancora.

Mediamente le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico di qualità inferiore rispetto alle scuole statali, lo testimoniano test internazionali e il fatto che molti loro docenti sono precari e retribuiti ancora meno dei docenti statali. Ciò nonostante le famiglie abbienti preferiscono le paritarie anche confidando in iter scolastico e in un esito finale (promozione e diploma) più tranquilli per i loro figlioli.

Vincenzo Pascuzzi

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