C’è chi, attorno ai 60 anni, anche prima, pagherebbe per lasciare la scuola. E chi, compiuti i 65 anni, è disposto a tutto per rimanere in servizio. Come ha fatto una docente di un istituto di istruzione superiore toscano.
Compiuti i 65 anni di età, la prof era stata “collocata a riposo dal primo settembre 2014” ma ha fatto ricorso. E ora il giudice gli ha dato ragione. Condannando lo Stato a conferirgli una sommetta niente male.
Tutto ha avuto inizio, due anni fa, a seguito della norma ordinamentale, voluta dall’allora Governo Monti, fautore della spending review a tutti i costi, che obbligava le lavoratrici pubbliche ad andare in pensione al compimento del 65esimo anno di età. Cancellando, nel contempo, l’istituto del trattenimento in servizio, fino a 66 anni e 3 mesi, come previsto per la pensione di vecchiaia degli uomini.
La docente ha quindi avviato una battaglia giudiziaria, portando l’amministrazione davanti al tribunale del lavoro. Che ora ha deciso per “l’illegittimità del collocamento in pensione d’ufficio della ricorrente con decorrenza dal primo settembre 2014” e ordinato “all’amministrazione convenuta di mantenere in servizio la ricorrente”.
Nell’ordinanza , il tribunale, ha scritto che “è tuttavia fondato il rilievo di parte ricorrente secondo il quale tale disciplina nazionale attua una discriminazione per sesso, contraria alla normativa comunitaria” e che la Corte di giustizia europea aveva già avuto modo di sollecitare il nostro Paese a rimuoverla.
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La vittoria per la prof che opera in toscana, però, non è stata totale. Lo stesso giudice ha detto che vengano “parzialmente compensate, nella misura della metà, le spese di lite” e condannato “il ministero dell’Istruzione al pagamento della metà delle spese di parte ricorrente che liquida, per tale frazione, in complessivi euro 1712,50 (di cui 112,50 per esborsi)”. Inoltre, essendo passati due anni, la sentenza del giudice non avrà effetti: la donna, nel frattempo, è arrivata alle soglie dei 67 anni. E quindi rimarrà in pensione.
Ora, ben 21 deputati del Pd hanno presentato un emendamento alla delega sulla pubblica amministrazione che punta proprio a rimuovere quel limite ordinamentale per consentire alle donne del pubblico di andare in pensione dopo i 65 anni di età, cioè a 66 anni e tre mesi, come i colleghi uomini. Per evitare che altre docenti amanti dell’insegnamento, anche alle soglie della terza età, debbano ricorrere al giudice per rimanere in servizio a 65 anni.
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