La docente assente per 20 anni su 24 destituita per inettitudine dalla Cassazione ha rotto il silenzio. La professoressa, d’altronde, aveva detto di volersi difendere, prima o poi. Lo ha fatto attraverso un comunicato stampa affidato al Corriere della Calabria, che sembrerebbe essere il primo di tanti.
Ecco il testo integrale del messaggio:
“La vicenda si snoda lungo un percorso che inizia alcuni anni fa ed ha come pietre miliari: la sentenza n. 228/2018 del Tribunale civile sez. lavoro di Venezia che ha delineato con chiarezza il contesto e le atmosfere nei quali si sono svolti i fatti di causa e che ha accertato “l’illegittimità del provvedimento di dispensa emesso” nei confronti della professoressa a tempo indeterminato dal suo dirigente scolastico alla sede di Chioggia, condannando il Miur al reintegro, alla ricostruzione della carriera ed a tutte le spese di giudizio; il ricorso in appello del Ministero dell’Istruzione – che non riuscendo ad argomentare in cosa consista l’incapacità didattica nei riguardi di una docente ultra specializzata e a tempo indeterminato come lei, ha letteralmente virato le accuse verso la conta, peraltro inveridica, delle assenze giungendo ad affermare che la stessa ha conseguito tutti i suoi titoli ‘per assentarsi dal servizio’ – che si è concluso con la sentenza n. 488/2021 della Corte d’Appello di Venezia che ha riformato la sentenza di primo grado; il ricorso in Cassazione della docente che si è concluso con la sentenza epocale Cass. Civ. Sez. lavoro n.17897 alla quale chi ne aveva interesse ha sciolto gli omissis sulle generalità apposti nella versione pubblicata dalla Corte, così gettando in un belluino anfiteatro la professoressa, docente particolarmente formata che ha avuto la sola colpa di ritrovarsi ad insegnare nel posto sbagliato.
“Veniamo alla sentenza della Suprema Corte, al centro dell’attenzione dei media. La docente, diversamente da quanto reso noto e diffuso, non ha subito alcun provvedimento di ‘destituzione’ da parte del Ministero dell’Istruzione essendole stata contestata dal proprio dirigente scolastico – esclusivamente – l’’incapacità didattica’.
Ci si soffermerà in altro comunicato sull’istituto giuridico dell’’incapacità didattica’ e – propriamente ed in modo specifico – sulla fondatezza di tale contestazione alla docente, in possesso di numerosissimi titoli di studio, anche relativi alla didattica, conseguiti presso diverse Università Statali sul territorio nazionale, nonché a tempo indeterminato nei ruoli dello Stato da numerosissimi anni. Quanto si legge nella sentenza di Cassazione, riportante la sentenza d’appello, ovvero che ‘La Corte d’appello di Venezia con sentenza n. 488 del 2021, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva l’impugnazione del Ministero e rigettava la domanda della lavoratrice, ritenendo legittimo il provvedimento di destituzione emesso ai sensi dell’art. 512 del d.lgs. n. 297 del 1994’ è – totalmente – non rispondente a verità fondata in diritto. E, difatti, non esiste alcun ‘provvedimento di destituzione emesso’ nei riguardi della professoressa. Peraltro, clamorosamente, l’articolo di legge citato, cioè l’ art. 512 del d.lgs. n. 297 del 1994 non riguarda la destituzione. A conferma di ciò, si sottolinea che il prefato art. 512 del D.Lgs. 297/94 è titolato e recita come di seguito: ‘Art. 512 – Dispensa dal servizio – Il personale di cui al presente titolo, è dispensato dal servizio per inidoneità fisica o incapacità o persistente insufficiente rendimento'”.
“Non vi è dubbio alcuno, pertanto, che diversamente da quanto affermato nella sentenza di Cassazione:
Poiché non esiste – nelle leggi dello Stato italiano – una ‘destituzione non disciplinare’, la professoressa, tecnicamente, non può essere ‘destituita’. La ‘destituzione’ della professoressa è, dunque, una mera, mostruosa ed abnorme, ‘creatura’ partorita nonostante le leggi dello Stato”.
Ecco la storia, secondo quanto è stato ricostruito dai principali media, della docente, 56 anni, originaria di Reggio Calabria. La donna vince un concorso e diventa docente di ruolo alle superiori nel 2001. Da lì passa prima per un istituto magistrale di Polistena, poi per un liceo a Dolo (Venezia) e infine sbarca in un liceo di Chioggia (sempre Venezia), passando per una scuola di Trieste. Trasferimenti e assegnazioni provvisorie annuali, anche per via della sicurezza personale del suo convivente, ufficiale della Guardia di Finanza.
Ebbene, nei vent’anni che vanno dal primo settembre del 2001 al 30 giugno del 2021 la prof colleziona 67 certificati di assenza per malattia che la portano lontano dalla cattedra, si legge anche nella sentenza della Cassazione, da 40 a 180 giorni l’anno, interrotti solo da piccole pause. E ancora: 2 assenze per infortuni sul lavoro, 16 permessi per motivi personali, 3 interdizioni dal lavoro per tutela della salute, i congedi di maternità e allattamento, alcune assenze per malattia del bimbo piccolo, 7 periodi di congedi parentali retribuiti, 24 congedi e permessi per assistere familiari portatori di handicap gravi, 5 esoneri giornalieri per la partecipazione a corsi di aggiornamento e formazione.
Più di cento giustificazioni in totale elencate nel suo curriculum giuridico agli atti del ministero. Che collegate alla sospensione delle lezioni, tra festività, ferie natalizie ed estive, hanno ridotto l’attività didattica di una lunga carriera a un gruzzoletto di insegnamenti di circa quattro anni. Giudicati, per di più, “improvvisati”, “disattenti”, “carenti”, “imprecisi”, “casuali”. “Assenze abnormi”, scrive la Corte, che pure non determinano la destituzione della prof perché legittimamente presentate e accertate.
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