Lo stress da lavoro è ufficialmente una condizione medica. Lo ha stabilito l’Oms dopo decenni di studi. L’agenzia speciale dell’Onu per la salute ha anche fornito direttive ai medici per diagnosticarla.
Si può essere affetti da burnout di fronte a mancanza di energia o spossatezza, isolamento dal lavoro o sensazioni di negatività, diminuzione dell’efficacia professionale. Il primo ad occuparsi di burnout è stato lo psicologo Herbert Freudenberger nel 1974.
L’Oms definisce il burnout “una sindrome concettualizzata come conseguenza di stress cronico sul posto di lavoro non gestito con successo”.
Sono tre le caratteristiche individuate: “senso di esaurimento o debolezza energetica; aumento dell’isolamento dal proprio lavoro con sentimenti di negativismo o cinismo e ridotta efficacia professionale”.
In genere colpisce coloro che sono impiegati nelle professioni di aiuto, nelle emergenze, nel sociale come medici, infermieri, poliziotti, vigili del fuoco, assistenti sociali, caregiver, ma può colpire anche altre categorie di lavoratori, quella forza lavoro iperattiva, iperconnessa e schiacciata da mille impegni tra lavoro e famiglia.
Le donne sarebbero più esposte degli uomini al pericolo di esaurimento psico-fisico.
La professione docente è usurante
La professione docente è usurante e il burnout, per i docenti, deve essere riconosciuta quale malattia professionale che affligge il mondo della scuola perché i docenti sono sottoposti a ritmi di lavoro stressanti che generano condizioni di malessere e di disagio.
Ad aggravare la situazione di insofferenza dei docenti sono diversi fattori legati al fenomeno delle classi pollaio, all’irrequietezza degli alunni, alla maleducazione imperante, alla frustrazione di non sentirsi considerati dalla società.
Il burnout sta crescendo progressivamente e molti docenti ne vengono colpiti, in conseguenza del fatto che sono sottoposti a sollecitazioni continue e logoranti.