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La promozione sul lavoro fa male alla salute: così i prof sono serviti

L’appiattimento professionale in molti casi conduce verso l’alienazione. Tra i docenti la mancata possibilità di carriera, insita nel ruolo che rimane in pratica lo stesso dalle prime supplenze sino alla pensione, sempre più spesso risulta alla base di malattie professionali riconducibili con il termine burnout.
Ora però veniamo a conoscenza del fatto che anche la promozione sul lavoro può essere nociva alla salute. Una notizia che potrebbe senza dubbio dare maggiore prestigio e riconoscenza a professioni ripetitive, come l’insegnamento, ma che se interpretate nella maniera migliore nascondono sicuramente meno insidie di chi è impegnato in estenuanti e non sempre redditizi salti di carriera. Con conseguenze negative sia di tipo pratico (minor tempo libero da dedicare a se stessi) sia, di conseguenza, a livello di salute (trascurata). A questa conclusione è giunto uno studio dei ricercatori dell’Università britannica di Warwick.
Lo studio dell’equipe di ricercatori inglesi partiva dall’ipotesi che un salto professionale in avanti può migliorare l’autostima e quindi anche lo stato psico-fisico del lavoratore. Ma dai risultati dell’indagine sono emersi ben altri dati, addirittura opposti. Il campione di circa mille persone, interpellate nel lungo periodo tra il 1991 e il 2005, ha fatto registrare che i passaggi di grado lavorativo fanno quasi sempre lievitare lo stress e la pressione psicologica di un livello pari ad almeno il 10%. E nello stesso tempo, con l’aumentare dello stress si moltiplica la necessità di effettuare consulti dal medico di fiducia. Solo che il tempo a disposizione per dedicarsi a questi incontri si riduce del 20%.
Il risultato è che “la salute mentale dei manager deteriora tipicamente dopo una promozione – ha spiegato Chris Bryce, uno dei ricercatori che ha condotto lo studio – e in un modo che va al di là del semplice breve termine: non vi sono segni di un miglioramento della salute, ma anzi una diminuzione del ricorso ai medici. Una condizione di cui ci si deve forse preoccupare piuttosto che essere contenti“.
Chi dovrebbe trarre invece da questi dati delle indicazioni positive dovrebbero essere i non pochi docenti della scuola che si lamentano con costanza per le mancate progressioni di carriera: se il prezzo da pagare, in cambio di un lieve miglioramento professionale (rappresentanto ad esempio dalla possibilità di diventare tutor per i docenti neo-assunti o formatore nei corsi universitari per nuovi docenti), dovesse essere quello prospettato dall’ateneo di Warwick allora ben venga il lavoro sempre accanto ad alunni e studenti. A meno che dopo tanti anni non sia subentrata una sorta di idiosincrasia per le nuove generazioni. Ma forse in tal caso questi prof dovrebbero guardare dentro se stessi e chiedersi perché hanno scelto di svolgere il mestiere più bello del mondo.
Alessandro Giuliani

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