Home I lettori ci scrivono La proposta del “10 politico” ai bambini delle primarie: com’è finita?

La proposta del “10 politico” ai bambini delle primarie: com’è finita?

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A scuola e scrutini conclusi, vorrei tornare sulla proposta del “10” politico a tutti i bambini della scuola primaria e fare una sintesi delle numerose mail di consenso all’iniziativa che mi sono giunte. Per come l’avevamo pensata in un gruppo di insegnanti delle primarie e non, l’idea non aveva nessuna sfumatura “buonista” nei confronti dei bambini.

Era, semplicemente, un mite atto di disobbedienza, di obiezione di coscienza, di boicottaggio. Disobbedienza, perché ci si rifiutava di dare un voto (che sarebbe stato, in questo caso, un voto dato alle famiglie, con un evidente tratto di discriminazione di classe); obiezione di coscienza, perché la freddezza idiota di un’Ordinanza che voleva concludere in modo “normale” un anno eccezionale, chiamava in causa anche le coscienze di chi insegna; boicottaggio, perché diceva no ad una scuola che concentra, anche nella “normalità”, troppe energie nella valutazione.

Lungi da me, da noi, quindi, ogni atteggiamento “buonista”; io che scrivo non faccio di mestiere la maestra e sono, in genere, più che critica verso l’atteggiamento tipico della maestra-massa che finisce per coincidere con la maestra-mamma.

Sono anche una delle poche persone di mia conoscenza che è pronta a dire che l’affermazione secondo cui la scuola italiana primaria è tra le migliori del mondo sia piuttosto un luogo comune che una verità. In generale, anche la scuola primaria è difettiva, tant’è che in cinque anni molti bambini non imparano nemmeno le tecniche fondamentali della lettura e della scrittura. Ed infine, è di nuovo una mia opinione, non penso nemmeno che il “giudizio” a parole sia preferibile al voto; le parole sono pietre e possono essere più offensive e crudeli di un voto numerico. La questione cui bisognerebbe togliere centralità, nelle primarie, è quella della valutazione, numerica o non.

Conosco abbastanza la scuola da sapere che esiste una minoranza attiva, intelligente, colta di insegnanti che fanno il loro lavoro con passione e che vedono chiaramente le aberrazioni che certa “didattica di regime” vorrebbe imporre, che non ne possono più della soffocante burocrazia che imbozzola ogni atto compiuto dagli insegnanti e che vedono con preoccupazione la perdita di tensione civile nei confronti della scuola come istituzione.

L’abbiamo constatato in questi ultimi mesi segnati dalla pandemia: la scuola è stata bistrattata, e non certo perché è rimasta chiusa, ma piuttosto perché una ministra di scarsa cultura e grande prosopopea ha prima frastornato tutti con le lodi della didattica a distanza, per poi stabilire che la scuola vera è quella “in presenza” e sfornare un certo numero di ordinanze su scrutini ed esami a mo’ di ciliegina sulla torta, nel tentativo di ridare un tocco di normalità ad una situazione che di normale proprio non aveva nulla. E fosse soltanto un tentativo di riportare tutto alla normalità: qualunque essere senziente avrebbe capito che dare un voto a bambini che si erano collegati online con i loro maestri avrebbe significato dare un voto alle famiglie, nella migliore delle ipotesi. Da qui l’idea del “sabotaggio” e del “10 politico”.

Ho ricevuto numerosi consensi ed ho rafforzato l’idea che c’è ancora speranza, per la scuola italiana. A scuola lavorano persone che riflettono, anche se spesso si sentono isolate. E l’unica lettera firmata da una dirigente scolastica ha messo in evidenza che anche in quella categoria, troppo spesso ossequiente, c’è chi ragiona autonomamente.

Ecco qualche stralcio dalle mail, anticipo di un lavoro organico che cercherò di fare. “Io sono una, una maestra che lotta ogni giorno contro un sistema che ha bisogno del “controllo” su tutto. Ma uno è meglio di niente, quindi mercoledì continuerò a lottare con i miei colleghi per questo 10 che è ancora poco rispetto a quanto hanno fatto i bambini. Parafrasando Manzi direi che hanno fatto più di quel che possono e per quel che non hanno potuto sono riusciti comunque a stupirci!” Uno è meglio di niente, il sistema ha tanto bisogno di controllo da dover controllare anche i bambini piccoli.

In un’altra mail ritorna il maestro Manzi: “Già ho dichiarato al Collegio dei Docenti questa linea (10 a tutti) e che la classe fornirà alle famiglie una valutazione finale comune alla classe e non al singolo alunno. I bambini hanno dato tutti il massimo! “Fa quel che può, quel che non può non fa” di Alberto Manzi.”
Anche il maestro Manzi usava le “nuove tecnologie” ma con un alto tasso d’umanità, che superava di gran lunga la freddezza del mezzo. “Condivido pienamente, sia il pensiero che l’iniziativa. Esattamente una settimana fa ho presentato al mio dirigente uno scritto in cui contesto ufficialmente la valutazione sulle competenze che ci ha proposto di presentare allo scrutinio finale, per ogni alunno di ogni classe, del plesso a cui apparteniamo”. Qui compare il dirigente che vuole imporre le valutazioni sulle “competenze”. “Competenze”! Altra parola che nel dizionario dei luoghi comuni della scuola italiana dell’inizio del XXI meriterebbe almeno un paio di pagine, che ne rivelino l’inconsistenza e svelino il progetto regressivo che la sottende.

C’è il buon senso, in molte mail: “In realtà si valuta l’impegno della famiglia per i bambini più fortunati e il grande sforzo per chi ha dovuto fare da sé. In questa situazione di emergenza, il 10 politico sarebbe stata una decisione saggia”. Dopo averci riempito la testa con il digital divide ed averlo fatto passare come il vero problema della scuola italiana, al momento delle Ordinanze su esami e scrutini il Ministero lo accantona e ritiene che anche i bambini tra i 6 e i 10 anni debbano essere valutati con regolari scrutini. Ma noi insegnanti siamo esperti di scuola: ecco la voce dell’esperienza: “Insegno da 36 anni, quindi ho un po’ di esperienza. […] ma mi sembra di essere un extraterrestre, ma E’ MAI POSSIBILE? […] Quello che ho letto mi rincuora: non sono la sola a non pensarla come chi mi circonda”.

Un altro intervento insiste sul rapporto tra adulti e bambini: “Ho sempre sostenuto l’inutilità del voto per un bambino della primaria figuriamoci in questo periodo.[…]Secondo il mio modesto parere l’unico punto positivo della DaD è stata la possibilità di rimanere in relazione con i propri alunni per un sostegno emotivo. Ora dall’alto si pretende “un voto” per valutare bambini che hanno dovuto rinunciare alla loro quotidianità, alle loro abitudini, alle loro certezze, al loro mondo. Sicuramente i nostri alunni hanno ricevuto altri insegnamenti ed hanno imparato che tutto quello che è normalità può cambiare all’improvviso e che devono sapersi adattare a situazioni nuove e impreviste[…] Noi adulti e soprattutto noi insegnanti invece cosa abbiamo imparato? A concludere questo anno scolastico con un voto?

E qui mi fermo, anche se le cortesi risposte che ho ricevuto meriterebbero tutte di essere ricordate. C’è una task force vera, che si ostina a pensare con la propria testa. Da quella forza viva e diffusa speriamo che riparta la scuola italiana. E spero che queste parole consolidino la convinzione che battersi per una giusta causa non è mai un fallimento – anche se ci sentiamo soli perché, come ha dimostrato questo modesto appello, soli non siamo.

Giovanna Lo Presti – Cub Scuola