“Solo scorporando lo stato sociale dal bilancio Inps si potranno salvare le pensioni dei lavoratori”.
A sostenerlo è Anief-Cisal, commentando la proposta dell’Istituto della previdenza, pubblicata in queste ore sul suo sito Inps, che ha reso pubblico il testo consegnato al Governo nel giugno 2015, contenente anche il prelievo forzato da 250.000 pensioni d’oro e più di 4.000 percettori di vitalizi. Oltre che la pensione anticipata a 63 anni e 7 mesi, in cambio però di decurtazioni non indifferenti.
Il sindacato reputa questa proposta, “seppure parzialmente condivisibile, non di certo risolutiva per risollevare le condizioni pensionistiche sempre più penalizzanti cui sono destinati i lavoratori italiani. Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario confederale Cisal, “urge piuttosto approvare un patto generazionale che salvi i nostri cittadini lavoratori più giovani dalla beffa previdenziale cui sono destinati dopo 43 anni di contributi versati: per loro, ha calcolato il nostro ufficio legale, si prevedono un assegno pensionistico medio vicino all’attuale pensione sociale, proprio derivanti dal nuovo sistema di calcolo contributivo. Ma se l’Italia è e rimane una Repubblica fondata sul lavoro, questo trattamento non è ammissibile”.
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“Siamo giunti al punto che – continua Pacifico – si stanno stravolgendo i paramenti sociali e culturali di un Paese: sino ad oggi si è andati a lavorare anche per garantirsi una pensione dignitosa e una vecchia, almeno economicamente, priva di stenti. D’ora in poi, invece, si lavorerà una vita per assicurarsi quello che praticamente lo Stato assegna anche ad un disoccupato. Si tratta, però, oltre che di un oltraggio morale, anche e soprattutto di una truffa: perché così facendo si lede il principio della parità retributiva, essendo la pensione non altro che una retribuzione differita. Che non può essere pari a quella di chi non ha mai percepito assegni previdenziali”.
Il sindacato, pertanto, chiede al Governo, prima ancora che all’Inps, di porre le condizioni legislative perché non si realizzi questo modello, figlio di riforme sempre più restrittive e penalizzanti. Basta dire che nell’ultimo quinquennio le riforme sulla quiescenza, per via dell’aspettativa di vita, hanno allungato di dieci anni l’età pensionabile: tra 15 anni, nel 2030, si potrà accedere alla pensione di vecchiaia solo oltre i 68 anni; dal 2050, i neo-assunti potranno andare in pensione dopo 70 anni o 46 anni e mezzo di contributi. Mentre per accedere all’assegno di quiescenza anticipato bisognerà contare su 44 anni di contributi versati. E tutto accade, mentre in Germania si continua comunque ad andare in pensione dopo 27 anni di contributi.
In conclusione, per il sindacalista Anief-Cisal, “va bene tagliare i vitalizi ai politici, ma non è di certo questa la soluzione per risolvere il gravoso problema delle pensioni in Italia”.
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