L’elenco degli acronimi utilizzati per parlare di economia e politica si è arricchito nelle ultime settimane di un nuovo termine creato da 10 studiosi delle diverse università piemontesi che, in netta controtendenza rispetto alle logiche comuni, sostengono che il numero dei dipendenti della Pubblica Amministrazione è ampiamente sottodimensionato.
Il PROPA, ovvero “Progetto di rilancio per l’occupazione nella Pubblica Amministrazione”, parla di numeri da fare invidia alle più spinte proposte sindacali: si parla niente meno che di un milione di nuovi posti di lavoro da creare con soldi pubblici.
Il costo stimato è altissimo, 26 miliardi e mezzo, ma – dicono i ricercatori – potrebbe essere agevolmente coperto con una operazione fiscale assolutamente semplice e di impatto relativamente contenuto.
Ma andiamo con ordine.
Innanzitutto proviamo a capire in che modo è stato calcolato il fabbisogno di dipendenti.
E’ presto detto: i ricercatori hanno messo a confronto le dimensioni della pubbliche amministrazioni di diversi Paesi europei ed hanno constatato che in Italia il rapporto dipendenti/abitanti è assai più basso rispetto a quello di altre nazioni
Germania | 6.500 | 83.000 | 12,7 |
Spagna | 3.200 | 46.700 | 14,5 |
Francia | 5.600 | 67.000 | 12,1 |
UK | 6.900 | 67.000 | 9,7 |
Grecia | 850 | 10.700 | 12,6 |
Italia | 3.200 | 60.400 | 18,8 |
Svezia | 1.500 | 10.100 | 6,7 |
In Italia, quindi, c’è un dipendente pubblico ogni 19 abitanti circa (18,8 per la precisione).
A partire da questo dato i ricercatori hanno fatto una interessante simulazione.
Cosa succederebbe se anche altri Paesi dimensionassero la loro amministrazione pubblica con lo stesso parametro di riferimento?
Ovviamente calerebbero i livelli occupazionali.
E qui si scoprono numeri interessanti.
Se anche in Francia il rapporto dipendenti pubblici/popolazione fosse di 1:19 la disoccupazione passerebbe dall’8,7% al 15,6%, in pratica raddoppierebbe quasi; nella Germania “locomotiva d’Europa, triplicherebbe passando dal 3,3% all’8,4% e nel Regno Unito passerebbe dal 4% al 14,8%.
In pratica in Francia e in Gran Bretagna il tasso di disoccupazione sarebbe persino più alto che in Italia, segno evidente – fanno intendere i ricercatori – che nel nostro Paese la disoccupazione è legata proprio al sottodimensionamento della Pubblica Amministrazione.
Ma, detto ciò, si pone un problema: come reperire i 26miliardi e mezzo necessari per creare un milione di posti di lavoro?
Tralasciando i dettagli tecnici, peraltro molto interessanti che si possono comunque reperire nell’ampio studio disponibile on line, i ricercatori “propongono come possibile mezzo di finanziamento di PROPA – scrivono essi stessi – un’imposta di solidarietà sul patrimonio finanziario delle famiglie, che graverà, peraltro in misura molto modesta, solo sui patrimoni più consistenti”.
I 10 studiosi partono da un numero: secondo i dati di Banca d’Italia il patrimonio finanziario totale delle famiglie italiane è di poco inferiore ai 4.500 miliardi e basterebbe una tassazione relativamente bassa (dall’ 1% fino all’ 1,73% a seconda delle diverse fasce) per mettere insieme esattamente 27 miliardi di euro.
Da una simile operazione verrebbero esentati tutti i patrimoni inferiori a 100mila euro, mentre le famiglie con un patrimonio di 100mila euro pagherebbero 72 euro all’anno, quelle con 150mila dovrebbero sborsare 557 euro, e quelle con 300mila euro arriverebbero a 1.800 euro.
Più salato il conto per chi ha un milione di euro perché in questo caso si parlerebbe di 8mila euro; va anche detto che in questa fascia patrimoniale si colloca complessivamente la metà dell’intera ricchezza finanziaria delle famiglie italiane che consentirebbe di mettere insieme 20miliardi di risorse.
Arriva a questo punto l’aspetto più delicato della proposta: con quali criteri realizzare il piano delle assunzioni?
I ricercatori mettono alcuni punti fermi
Ma il punto cruciale è di natura etico-politica: la raccolta dei fondi necessari deve essere il più possibile non conflittuale.
“Il piano – affermano i ricercatori – deve essere dichiaratamente un piano solidaristico di emergenza, cui ciascuno è chiamato a collaborare in base alle sue possibilità. È appena il caso di sottolineare come i recenti sviluppi delle scienze umane abbiano dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che la disponibilità ad aiutare è in generale più elevata di quanto si pensi, purché l’aiuto stesso non sia costrittivo. Questa proposta in altri termini implica e promuove una battaglia culturale: l’affermazione di un’etica civica della solidarietà contro quella egoistica”.
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