Anche i prof dei “nastrini rossi” sono alla radice del problema della 107.
Mercoledì 25 gennaio una question time del Movimento 5 stelle ha sollevato in Parlamento il caso della mobilità scuola facendo emergere il problema continuità tanto dibattuto in questi giorni e la posizione del Ministero rispetto all’eventualità di derogare al vincolo provinciale anche per le assegnazioni provvisorie, di fatto negandola.
Non ci stiamo ad essere il capro espiatorio di una realtà fatta di errori e di una storia raccontata, ultimamente a gran voce anche dai media e dalla stampa, guardando solo al passato, ad una mobilità che, generando caos, ha però di fatto avvantaggiato tutti tranne noi.
Il 30 per cento di mobilità e il blocco delle assegnazioni provvisorie non sono soluzioni, ma un esasperare le cattive pratiche della “buona scuola”. Non ci stiamo perché, se è logico pensare che la soluzione di un problema si cerchi andandolo a risolvere alla radice, è evidente che, se si ritiene che la soluzione debba essere quella prospettata, si ritiene anche che la causa del problema risieda nei nostri eventuali movimenti. E non è così. Non ci stiamo perché il regime di straordinarietà generato dalla L. 107 non è ancora concluso secondo noi, anzi. Ne sono la testimonianza le storie dolorose che ci accompagnano in quelli che la macchina del fango abbattutasi su di noi ama chiamare “valzer e giostre” non sono finite. Per questo ci troviamo ancora a dire che gli insegnanti non sono troppi, m troppo pochi, che nelle nostre regioni i posti ci sono e che non intendiamo piegare la testa e finché non vedremo giustizia sfateremo ogni mito che ci vuole in esso inglobare.Altro mito di questi giorni è infatti un Nord che reclama la continuità negata a causa dei professori del Sud che hanno “tagliato la corda”. Ma di quale continuità potremmo mai parlare se siamo do9centi del Sud e al Nord moltissimi di noi non stanno lavorando perché rientrati in AP? Anche su questo tema si fa molta demagogia: gli alunni delle nostre regioni avrebbero diritto allo stesso trattamento. Quindi perché raccontare mezze verità? In uno degli anni più problematici della scuola italiana, il falso mito della continuità è strumentalmente adoperato per giustificare richieste e scelte scellerate. La continuità non esiste. I vincoli limitano la mobilità tra diverse province ma nulla impedisce i passaggi intraprovinciali. I numeri della mobilità tanto sbandierati includono, in modo molto consistente, anche quella intraprovinciale e si dimentica quasi sempre di dire, oltre questo, che una parte di quei numeri è rappresentato da noi docenti “deportati” dalla riforma, sbattuti in luoghi a caso e che da quei luoghi vorremo sempre tornare, vittime di una non scelta ma rei di avere affidato le nostre sorti allo Stato.
Bloccare i docenti in una provincia non assicura affatto che essi insegnino nella stessa classe e con gli stessi alunni. I docenti si spostano e si sono sempre spostati all’interno della stessa provincia, con la mobilità provinciale, le assegnazioni e le utilizzazioni provinciali e tutte le altre modalità che la normativa offre. Da sempre.
Bloccando la mobilità interprovinciale, impedendoci di riavvicinarci alle nostre famiglie, non si risolve affatto il problema della continuità che continuerà ad essere, fisiologicamente, un elemento intrinseco nella scuola. Non sono certo gli spostamenti interprovinciali di docenti che mirano a tornare nei luoghi in cui vorrebbero fermarsi, a danneggiare la continuità, anzi. Per stabilizzare realmente la Scuola bisogna partire da ciò che è già stabile, non creare altre gravi e nuove forme di precarietà. Non si risolve generando nuovi immobilizzati che appena potranno tenteranno di ritornare nella propria Terra, creando di conseguenza probabili disagi operativi alle scuole. La continuità si può realizzare solo rendendo stabile il lavoro dei docenti precari che quest’anno hanno coperto le cattedre al nord, consentendo loro di continuare a lavorare dove ora vorrebbero definitivamente trasferire noi, che invece vogliamo continuare a lavorare dove abbiamo sempre lavorato e dove avremmo dovuto essere sin da subito stabilizzati.
Questa soluzione può sembrare troppo semplice ma è reale perché parliamo di posti reali, tanto al nord quanto nel “desolato” sud. I posti dell’organico di fatto, sui quali abbiamo lavorato quest’anno con le assegnazioni ed in passato con le supplenze che ora il Miur vuole trasformare in organico di diritto, sono posti reali e ci sono sempre stati, anche quando noi siamo stati trasferiti al nord. Quei posti dovevano essere stabilizzati quando siamo stati assunti noi e stabilizzarli adesso, relegando per noi solo una piccola percentuale, addirittura minore rispetto al passato, rappresenta per noi l’ennesima beffa.
Per questo chiediamo che si ponga fine ad una visione retrospettiva della questione: guardiamo al futuro. L’accordo tra MIUR e sindacati ha sancito che solo il 30 percento dei posti dell’organico di diritto del prossimo anno potrà essere riservato ai trasferimenti interprovinciali e questo per la maggior parte di noi significa non ottenere il trasferimento (un esempio concreto: in Puglia ci sono 3mila e 200 docenti deportati al Nord. Il numero richiesto per la stabilizzazione è di 2mila e 500 cattedre. Il 30% è 750 cattedre da dividere in tutta la Regione per tutti gli ordini e le classi di concorso. Briciole!). Mentre sul 60 percento dei posti riservati alle nuove assunzioni verrà stabilizzato nuovo personale che ha conservato il diritto ad essere assunto nel proprio luogo di residenza. Lasciando noi docenti di ruolo ma ormai precari di vita in questa bolgia dannata. Ci chiediamo chi sarà nuovamente danneggiato da questo scenario? Di sicuro i docenti discriminati e deportati grazie alla L. 107 e gli alunni di tutte le regioni del Sud.
La continuità è un valore al Nord come al Sud. I vincoli con cui vogliono negarci le assegnazioni provvisorie , che tra l’atro sono una pratica per fare risparmiare lo Stato, non hanno alcuna reale ragione di esistere ma sono creati per dare una risposta di facciata ad un problema fisiologico, la cui presenza è intrinseca e strutturale.
Tre cose sono da sottolineare secondo noi.
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