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La regina di Tebe: nuovo romanzo di Annamaria Zizza

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Ankhes-en-Amon, la giovane e bella vedova del faraone Tut-Ankh-Amon, sa bene che il destino dell’immenso regno che ha ereditato dello scomparso consorte dipende da lei e dalle sue valutazioni politiche, prima fra tutte la scelta di un nuovo marito, forte e autorevole, per rafforzare la stabilità di una nazione che già col suocero Akhenaton, aveva subito profondi stravolgimenti per avere mutato l’ordine maestoso delle divinità. Aveva imposto infatti il culto dell’unico dio sole, Aton, a una popolazione adusa da millenni a venerare una corposa schiera di divinità che insieme reggevano la volta celeste e il creato, il destino e le prosperità, la vita e la morte di un popolo superstizioso e guidato dai potenti sacerdoti. 

Fu il suo erede, il figlio Tutankhamon, per evitare sanguinose rivolte, a riportare ordine nel disordine, ma che ora, con la sua prematura scomparsa, rischiava ancora una volta di riaccendersi, per motivo appunto del vuoto di potere e della mancanza di un erede, mentre bellicose popolazioni anatoliche osservano i tremori dinastici dell’impero egizio.

Da queste premesse, descritte in un precedente romanzo pubblicato per Algra Editore, “Lo scriba e il faraone”, che risulta così essere l’antefatto da cui prendono avvio le gesta della regina Ankhes-en-Amon, nasce il nuovo romanzo di Annamaria Zizza, “La regina di Tebe”, Marlin Editore, che fra l’altro contiene una breve prefazione di Dacia Maraini, affascinata dall’argomento e dalla scrittura dell’autrice. Uno opportuno sequel nel quale la vicenda si svolge tutta attorno alla travagliata esistenza della vedova di Tutankhamon e alla sua diplomatica fermezza per trovare un uomo da aggregare al suo trono, al fine di sedare sicuri conflitti dinastici e affinché la serena vita lungo le fertili rive del Nilo possa pacificamente continuare. A non lasciare tuttavia lo spazio sufficiente richiesto dai suoi progetti, brulicano non solo i complotti di corte per avere i favori della donna e assicurare altre dinastie, ma anche la presenza, fra le aspre colline anatoliche incombenti sul Nilo, del bellicoso popolo degli Ittiti, nella capitale Hattusas, naturalmente attratto dalle ricchezze dei faraoni e ora soprattutto dal vuoto di potere che si intercetta. 

Se questo è il racconto nelle sue grandi linee, il romanzo di Zizza ha però spunti di riflessione assai interessanti relativi non solo ai costumi del tempo e al gioco politico, in una civiltà così lontana e pure così misteriosa, per certi versi, come quelle egizia, ma anche agli intrecci che fra i vari personaggi si allacciano per dare corso alla storia che in alcuni punti raggiunge il segnale del thriller, negli intrighi fra cortigiani e pure nelle battaglie fra predoni nel deserto. Ma l’autrice non tralascia nemmeno di toccare altri punti singolari nella storia di quella potenza militare e politica, i cui miti, con la teogonia e i culti misterici, precedono di millenni le suggestioni bibliche e i poemi greci, compresi interi passi della Genesi e dell’Esodo ebraico. E si intrattiene pure, senza tuttavia appesantire la narrazione, che scorre fluida e piana, libera e musicale, evitando gore e inutili rapide, sull’arte bellica del tempo, dove appaiono le disposizioni degli eserciti ma anche l’uso stesso delle armi, compresa la scoperta del ferro in dotazione agli Ittiti ma sconosciuto ancora agli egizi che utilizzano fragili spade di bronzo. Scoperta sconvolgente sul cui proficuo uso si determinerà il futuro dell’Egitto e delle sue dinastie, così come è avvertito, nel finale, da Zannanza, il saggio figlio del re ittita Suppiluliuma.