Porte chiuse sulla regionalizzazione della scuola, almeno per quel che riguarda i concorsi degli insegnanti: a dirlo è stato il ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia, parlando lunedì 18 novembre di autonomia regionale declinata alla scuola a margine di un incontro a Trieste con il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga.
Sull’autonomia scolastica, ha detto Boccia, “non c’è nessun margine di trattativa” per quanto riguarda i “concorsi dei docenti, come hanno chiesto alcune Regioni, perché la scuola è dello Stato e ha un profilo unico”.
L’autonomia differenziata, invece, si potrebbe realizzare su altri aspetti scolastici, di carattere puramente organizzativo.
Il ministro Boccia ha sottolineato, a tal proposito, che “su alcuni temi, come la continuità didattica fino all’organizzazione (per esempio la chiusura o no di un plesso in un piccolo comune), stiamo ragionando con il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, se a fronte di un concetto chiaro, cioè che la scuola è nazionale e resta unica, si possano concedere la possibilità ai Presidenti di definire il numero di studenti in una scuola o in una classe dentro un range che si definisce al Centro”.
Il ministro, per sintetizzare, ha detto “sì’ su alcune cose organizzativo-gestionale”, mentre si è espresso con un “’no’ a una scuola che cambi profilo: lo dice la Costituzione”, ha sottolineato.
Il diniego di Boccia, quindi, è anche alla possibilità che ogni regione avrebbe nel trattenere nella propria regione i docenti vincitori di concorso: si era parlato, a tal proposito, anche alla possibilità di introdurre un blocco obbligatorio (di non trasferimento) di almeno 5 o addirittura 7 anni.
Il timore di Boccia, espresso a margine dell’incontro a Trieste, è che i concorsi riguardanti una professione esercitata per garantire un servizio pubblico, quale è quella dell’insegnante, non possono reggere giuridicamente, proprio perchè incentrati su base locale.
“Voglio che i contenziosi” con le Regioni “diminuiscano”, ha spiegato Boccia, rivelando che al momento dell’arrivo al dicastero ne ha “trovati una montagna. Ciò significa costi per i contribuenti, cittadini e imprese, perché approvare una legge regionale che poi viene bloccata dallo Stato vuol dire ipotizzare delle cose che poi non avvengono”.
A questo punto, quindi, l’obiettivo è quello ridurre il contenzioso “del 50%. Io non vorrei – ha continuato il ministro – una Corte Costituzionale che si trasformi in un Tar e lo dico con il massimo rispetto nei confronti dei Tar. Ma prima di fare le leggi abbiamo il dovere di definire il perimetro costituzionale. Questo è un lavoro che possiamo fare insieme, tra noi e le Regioni”.
L’approccio, ha aggiunto, “è già cambiato. Ho consigliato alle Regioni di confrontarsi prima, nel rispetto dell’autonomia ovviamente di ogni singola Regione e a maggior ragione anche quelle a Statuto speciale. Sono sicuro che la collaborazione sarà ampia”.
In effetti, la “partita” della regionalizzazione, qualora approvata, si sposterebbe di sicuro in tribunale. E i precedenti dicono che vincerebbero i contrari. Perché sono diverse le sentenze – come la n. 76/2013 della Consulta che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 8 della Legge 7/2012 perché, per avallare l’autonomia, attribuiva ai dirigenti scolastici del territorio la facoltà di indire concorsi per affidare in via sperimentale incarichi annuali e favorire la continuità didattica.
Ad inizio settembre, però, il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, nel corso del forum Ambrosetti di Cernobbio, sul lago di Como, per avallare la regionalizzazione aveva citato una sentenza della Corte Costituzionale favorevole.
Ecco perché il ministro Francesco Boccia preferisce evitare lo scontro in tribunale, cercando di congelare la proposta, almeno per quel che riguarda i concorsi.
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